Quando sei stato al CIE di corelli?
Chiara: venerdì 4
ottobre 2013
Filippo: il 14 ottobre per una delegazione di visita insieme al parlamentare
di Sel Daniele Farina e rappresentanti di altre associazioni.
Quali erano gli obiettivi della
visita?
C: incontrare un ragazzo nigeriano, utente del
centro Naga Har per richedenti asilo, rifugaiti e vittime della tortura, lì
trattenuto dal 28 agosto 2013. Volevamo portargli qualche indumento, qualcosa da
mangiare e soprattutto passare un po’ di tempo insieme per confermarlo in tutte
le domande e incertezze riguardo il proseguo della sua domanda di asilo.
Inoltre volevamo assicurarci che, dal punto di vista legale, il nostro utente
fosse assistito e consigliato non solo da un avvocato esterno ma anche dal
personale delle Croce Rossa che opera all’interno.
Non era mai
capitato che un utente del Centro venisse fermato e trattenuto all’interno del
CIE di via Corelli al momento in cui si recava in questura per presentare
una nuova domanda di asilo, eravamo molto preoccupati.
Per questo motivo,
contrariamente alla nostra regola interna di non dare numero di telefono
privato, ho passato il mese di settembre in stretto e quotidiano rapporto
telefonico con lui.
Dentro
Corelli i trattenuti hanno la possibilità di chiamare da un telefono: lui
squilla e io richiamo.
Durante le telefonate mi chiede di tirarlo fuori: mangia
malissimo, non può dormire perché gli altri detenuti urlano e battono sulle
porte tutta la notte. Inoltre mi raccontava, in tempo reale, i disordini e gli incendi
che si sono susseguiti tutto settembre, fino al trasferimento di molti detenuti
a Trapani e la chiusura di vari locali in Corelli, che, per questa ragione
ospita oggi solo 28 persone. Si scandalizzava i giorni scorsi il ministro Alfano del fatto che “quelli” ci bruciano i CIE. Forse non ha tenuto conto che siamo di fronte a persone disperate,
condannate ad essere rimpatriate e che quindi protestano con ogni mezzo,
di fronte a questa probabile eventualità.
F: Lo scopo della visita era quello
di verificare le condizioni del centro di identificazione ed espulsione e
portarle all’esterno, raccontare un luogo dimenticato e fatto per rimanere
nell’ombra.
Chi hai incontrato?
C. Soltanto in nostro
utente, un uomo nigeriano di 32 anni.
Ci hanno
condotti in una stanza e siamo stati insieme per circa un’ora con la porta
aperta e i piantoni fuori. Il nostro utente è stato portato in Corelli il
giorno che ha presentato nuova domanda di asilo in Questura, domanda motivata
dalla grave e recente situazione di persecuzioni religiose in atto nel suo Paese
di orgine.
Il trattenimento
è stato motivato da due provvedimenti di espulsione a suo carico, nonostante
siano in fase di ricorso.
E’
attualmente trattenuto, presumibilmente fino alla discussione e decisione del
ricorso, perché non ha un domicilio e una fonte certa di reddito.
F: La visita si è svolta in due momenti. Prima siamo
stati accolti dal direttore del Cie
della Croce Rossa Italiana e da esponenti della Prefettura e dell’Ufficio Immigrazione
della Questura, per porre osservazioni e domande. Poi abbiamo visitato l’interno
del centro e abbiamo incontrato i 28 trattenuti nell’unico settore rimasto
agibile dopo un incendio avvenuto dei giorni scorsi.
Che situazione generale hai trovato da
un punto di vista di condizioni della struttura e da un punto di vista dei
trattenuti?
C:: Non ho
visto quasi nulla del luogo Corelli. Collocato in
una landa desolata, l’esercito che presidia l’esterno. Bella
guardiola rifatta e blindata. Dentro il
cortile, macchine dei dipendenti posteggiate. Non ho visto
i reparti e i detenuti.
F.: All’interno siamo stati subito accolti dai trattenuti: molti sono andati
subito a prendere le loro carte legali che da farci vedere, altri hanno
cercato il dialogo con noi, altri ancora in pigiama pile e ciabatte straniti ci
guardavano incuriositi con la faccia di chi si è appena svegliato. La stanza in
cui è avvenuto l’incontro era quella sembrava essere la sala ricreativa che dà
sul cortile in asfalto di grande come un campo di basket.
Gli unici strumenti ricreativi che ho visto sono:
la televisione attaccata al soffitto che andava senza volume su sky tg 24;
le macchinette del caffè-bibite-merendine;
6 tavoli ancorati al muro con sedie
attaccati a questi (non ho visto se
queste potevano girare ricreativamente!).
Non abbiamo avuto il tempo di esaminare il cortile, ma non c’erano né canestri
né porte da calcio.
Non ho visto detenuti girare con libri, giornali o riviste. Non ho visto carte da gioco. Li ho
visti fumare, anche se non hanno accendini, devono chiedere sempre a un
dipendente della Cri!
Ho visto tanti occhi rossi, occhiaie e facce segnate dalla stanchezza.
Ho visto un ragazzo magrebino con evidenti segni di auto-lesionismo.
Tutti quelli con cui ho parlato erano ovviamente stufi e stanchi di
stare li, non ho mai visto tanti uomini così tesi nella stessa stanza. Nessuno
di loro sembrava né ”abituato” né ”rassegnato’ ‘alla sua condizione di
trattenimento, erano spaesati come se fossero arrivati lì da pochi giorni,
parlando con i trattenuti solo uno mi è sembrato veramente consapevole e lucido
riguardo alla della sua condizione di trattenuto.
Riguardo allo stato di pulizia e manutenzione, siamo entrati appena dopo
che l’addetto alle pulizie se ne è andato: era tutto molto pulito. Non c’era un
vetro che non fosse crepato.
C’è stato anche un momento in cui abbiamo potuto visitare un settore
vuoto. Era identico a quello dove abbiamo avuto il contatto con i trattenuti, immagino
che tutti gli altri settori siano uguali. Abbiamo potuto notare:
– stanze con 4-6 letti ognuna, ancorati al terreno e
saldati in ogni loro pezzo non ci sono mobili ,ma una sorta di antina in
cemento che esce direttamente dal muro materassi ignifughi, sbarre strette alla
finestre. Le porte sono in metallo, non c’è una maniglia all’interno. Ma ci
hanno detto che non possono mai essere chiuse a chiave.
– docce e bagni funzionanti in file divise e chiuse uno dall’altro, lavandini anche questi
funzionanti, tutto fatto in cemento spesso.
– stanza ”ricreativa” con 8 tavoli e sedie saldati, televisione posta
in alto, macchinette per bibite, merendine e caffè.
– il riscaldamento avviene tramite il pavimento in quanto i termosifoni che
c’erano prima erano continuamente divelti
– ci sono due telefoni pubblici
Il tutto è a prova di rivolta. Il tutto ti sfida alla rivolta. (Nel
senso che niente stimola di più un sentimento vandalico di ciò che è stato costruito a
prova di vandalo!)
Se proprio devo dire come ho trovato la struttura, il tutto mi è
sembrato più simile a una grossa e supersolida scatola con i buchi, che a un
edificio.
Quali sono le esigenze maggiori
espresse dai trattenuti?
C.: Le esigenze e lamentele dal nostro utente sono
state:
-Il cibo
pessimo a cui non riesce a rassegnarsi;
– Il
continuo rumore provocato da urla e pugni battuti sulle recinzioni che gli
impediscono di dormire;
– La
giornata passata a mangiare-dormire senza assolutamente nulla da fare;
– L’incapacità
di spiegarsi per quale motivo si trovi lì;
–
Il serio
timore di essere rimpatriato qualora il ricorso venisse perso.
Lui non lo ha
detto ma io ho visto che era vestito in modo estremamente inadatto al freddo
della giornata e a domanda su abiti più pesanti (non aveva le calze) ha
risposto che non ci sono.
F: Le esigenze maggiori riscontrate sono state due.
Da una parte esigenza di tutela legale, quando chiedevo se avevano
avuto risposta alle loro richieste all’interno del Cie, tutti dicevano che
talvolta non avevano avuto modo di vedere l’avvocato, in altri casi l’avvocato
l’avevano visto ma non gli aveva dato una risposta in nessun senso. Erano molto
”agguerriti” e insistenti e documentati sulle loro questioni legali.
Dall’altra parte tutti quelli con cui ho parlato si lamentavano della
difficoltà nell’avere contatti con l’esterno. Lamentano inoltre nello specifico
il sequestro del telefono cellulare e la difficoltà e l’onerosità nell’uso della
scheda del telefono fisso. Per ciò lamentano anche la scarsità dei soldi dati
loro come extra e per le telefonate 5 euro per tre giorni. “Devo scegliere se
comprare il tabacco o chiamare qualcuno” mi ha detto un detenuto.
Un trattenuto mi ha raccontato di uno sciopero di settimana scorsa della
fame per avere più soldi e telefonini, che però è terminato dopo breve in
quanto non ascoltato da nessuno.
In generale l’esigenza più grande riscontrata è quella di poter comunicare con
l’esterno e di non essere dimenticati, di non essere abbandonati.
Quali le loro nazionalità in
prevalenza? Da quanto tempo erano trattenuti?
F.: Mi sembravano tutti nordafricani e centrafricani. Non ho avuto modo
di chiedere a tutti da quanto erano trattenuti, quelli a cui ho avuto modo di
chiederlo erano dentro chi da 10 giorni chi da un paio di mesi chi da tre mesi.
Ti ha colpito qualcosa in
particolare? Una storia? Un’immagine? Una richiesta?
C: Quello che mi
ha colpito è il numero enorme e sproporzionato di persone in uniforme
assolutamente lasciate a trascorre le ore in chiacchere e conversazioni, cioè
tantissimo personale che staziona senza nulla da fare.
Sono
giovanissimi, gentili e sorridenti. Tante donne.
Ho pensato
che il personale è commisurato alla capienza normale del centro (un centinaio
di posti) e oggi non è stato riproporzionato agli attuali 28 ospiti.
F.: Non so dire cosà mi ha colpito in particolare, mi ha colpito un po’
tutto…
Dentro lì ho provato una sorta
istintiva angoscia, come un inconscio sentore di mancanza di libertà e che
quando ho trovato la porta chiusa per uscire (ero rimasto l’ultimo ad uscire, gli
altri si erano già avviati fuori dal settore) ho avuto un microsecondo di
panico e ho bussato ben forte per farmi aprire dal poliziotto.
La storia che mi ha colpito di più forse quella di un cittadini straniero nel
Cie da pochi giorni e che deve sposarsi lunedì prossimo. In teoria, ha già
l’appuntamento. Mi ha anche fatto vedere le pubblicazioni. In teoria
l’espulsione stessa in questi casi potrebbe essere illecita, ma il Giudice di
Pace ha comunque deciso per il trattenimento. Abbiamo chiesto alle autorità presenti
che ci avevano accolto appena arrivati se si poteva celebrare il matrimonio li, nel CIE, di fronte a due testimoni e a
un pubblico ufficiale (come si fa in carcere), ma hanno detto che non si può fare
niente.
Con un aggettivo come definiresti il
CIE di Milano?
C.: Un luogo
nascosto e abbandonato
F.: Mi verrebbe da dire” abbandonato”, ma forse chi vive nei luoghi
abbandonati vive meglio, per lo meno libero.
Sarebbe meglio dire dimenticato anche se la prima parola che mi viene
in mente è ”chiuso” o meglio…”da chiudere”.
Inoltre ho riflettuto anche sul fatto che uno storico del diritto potrebbe
notare come chi entra nel Cie torna
anche indietro di molto nel tempo. Infatti la detenzione che avviene nei Cie
non è concepita col fine di espiare la pena attraverso detenzione stessa, come
avviene nelle carceri da almeno 200 anni, ma il trattenimento viene inflitto
col fine di trattenere le persone
nell’attesa di fargli scontare una pena diversa (l’espulsione). Questa visione
del trattenimento finalizzato ad continendos homines, non ad puniendos è la stessa del
diritto pre-illuminista secondo cui in cui le carceri erano luoghi di attesa della
pena effettiva che si scontava fuori, visione scomparsa con l’età
contemporanea.