“Mi fa male qui”.
Indica la ferita che ha sotto l’ombelico.
È stato operato un anno fa. Ha già fatto un’ecografia di controllo. Non ha nulla. L’operazione è andata bene e anche l’ecografia.
“Mi fa ancora male. Non riesco a dormire, sono dimagrito”.
Si sdraia sul lettino.
È alto e il suo corpo emana una forza che sta però svanendo: il corpo di un uomo forte ricoperto da una pellicola di fragilità.
La visita all’addome conferma che non sembra ci sia niente, proprio lì, accanto all’ombelico.
“Mi fa male la ferita… e poi penso troppo…”
“A cosa pensi?”
“A miei figli e a mia moglie… e non riesco a dormire”.
“Dove dormi?”
“Per strada da quattro mesi… La mia domanda d’asilo è stata respinta e non ho più un posto dove stare”.
Con le parole iniziano a uscire anche le lacrime, le lacrime di un uomo forte che frontiere, leggi e accordi internazionali hanno reso vulnerabile.
Se ne va promettendo di tornare la settimana prossima.
La nostre cure, la nostra accoglienza e le sue lacrime non avranno forse fatto passare il dolore alla ferita, ma, almeno, hanno reso possibile individuare dov’è posizionata quella ferita: non all’ombelico, ma più in alto. A sinistra.