La città alta di Ventimiglia troneggia oltre il Roja.
È qui sul greto del fiume – e sugli scogli pochi chilometri più in là, sul mare – che tutto è incominciato: le tende piantate da chi cercava di passare la frontiera divennero baracchine, poi baracche sempre più complete, fino a creare una piccola città nella città, che oggi, dopo gli sgomberi, non c’è più; gli insediamenti oggi si trovano in posti meno appariscenti e più protetti, anche dalla potenziale violenza del fiume.
Parcheggiata la macchina sotto il ponte ferroviario, entriamo in città.
Ventimiglia è innanzitutto il bar di Delia, crocevia e ritrovo di gruppi e persone solidali che si avvicendano per dare una mano nutrendo, curando, informando chi vive nell’attesa di trovare un varco per entrare in Francia.
L’accoglienza è straordinaria; Delia ha preparato un fantastico buffet a base di verdure, focacce e torte salate, che nonostante l’abbondanza sparisce rapidamente: il gruppo è formato in grande maggioranza da persone sotto i trent’anni, sono giornate intense, e l’appetito non manca.
Dopo l’aperitivo nel bar si tiene l’assemblea, alla quale partecipano anche le persone del posto, non numerosissime ma parecchio agguerrite; Maria Paola rappresenta un’associazione culturale locale, è netta nello schierarsi e precisa nell’indicare come muoversi per entrare in dialogo con la città; c’è un’umanità varia e sorprendente, dall’anziana signora romana che ha finito col trasferirsi qui, che pare uscita da un film di Fellini, alla signora sulla quarantina che ci chiede curiosa come siamo arrivati a decidere di venire fin qua; tutt’intorno la città trabocca già di poliziotti.
Qualcuno si avvicina a Delia per ringraziarla e farle i complimenti, e lei si commuove, gli occhi le diventano lucidi, ringrazia sottovoce.
Fin dall’inizio lei si è schierata dalla parte delle persone migranti, preparando piatti che vendeva per un solo euro, e molti qui hanno incominciato a farle la guerra, ma lei ha tenuto duro anche quando una crudele ordinanza comunale all’insegna del “decoro” vietava di distribuire cibo per strada, precorrendone altre come quella criticatissima di Como.
Un giorno il suo nome sarà ricordato come quello di una persona giusta, un argine alla catastrofe della perdita del senso di umanità.
È ora di andare, di raggiungere il campeggio solidale, che si trova parecchio nell’interno, sopra lo splendido paese di Rocchetta Nervina; anche qui, ci dicono, la popolazione si è mostrata accogliente e amichevole; il proprietario del terreno che ospita il campeggio si è detto ben felice di concederlo gratuitamente per una buona causa.
E da qui, tra le tende dove stanchi uno alla volta finalmente ci addormentiamo, sotto le luci della Via Lattea che attraversa il cielo limpido, l’umanità stanotte sembra un po’ migliore. E un po’ meno disperata.