Ora Ventimiglia tace.
Si sono spenti la musica e gli slogan del corteo, e infine da qualche ora è cessata anche la musica dai locali del lungomare; è l’aurora, e al lento rumore della risacca si sommano le grida dei gabbiani, scesi proprio qui davanti a noi ad inscenare i loro corteggiamenti e i loro duelli.
La giornata di Ventimiglia Città Aperta non è finita con il lungo concerto ai giardini pubblici: gruppi di solidali dall’Italia e dalla Spagna sono rimasti a dormire qui sulla spiaggia alla foce del Roja, un gesto ripetuto tante volte in questi anni di accoglienza e di lotta, soprattutto nei momenti di maggior tensione, per tenere compagnia agli “shebab” che da mezzo mondo si ritrovano incastrati qui e dormono come si può, e soprattutto per esserci in caso di sgombero.
Nel silenzio della notte si alza una brezza fredda che spinge a stringersi sui teli stesi sulla ghiaia: non importa quanto sia altro l’altro che hai accanto, importa il calore del suo corpo, umano come il tuo; anche la protezione dal freddo qui è un bene prezioso che si può scegliere di spartire o condividere; noi lo condividiamo.
È stata una lunga, faticosa, meravigliosa giornata; alla sera, dopo la partenza della grande maggioranza dei partecipanti, ci siamo ritrovati in poche decine ai giardini, con la stanchezza addosso ma gli occhi brillanti di felicità: ce l’abbiamo fatta, l’abbiamo fatto davvero.
Diecimila persone venute da tutta l’Italia, dalla Francia, dalla Spagna, hanno sfilato contro le politiche sull’immigrazione degli stati europei, a partire da quelle italiane e francesi (almeno 7.000 secondo “Repubblica”, che nei confronti di questa manifestazione non si è mostrata certo amichevole), e per la dignità, l’umanità, il ribaltamento dei processi di accumulazione e di esclusione.
Impossibile dar conto dei canti, degli slogan, del calore di questo corteo lunghissimo sotto un sole implacabile; chi c’era non dimenticherà momenti come l’attraversamento del lungo tunnel con l’eco dei tamburi della Murga a riempire l’aria e il cuore, lo splendore del mare dalle mura della città alta, le decine di lingue, dialetti, parlate.
La Questura, su istigazione del Comune, ha cercato di nasconderci il più possibile, obbligandoci a un faticosissimo giro intorno alla città alta su strade disabitate, ma non è servito a niente: temevano che disturbassimo lo shopping dei francesi in gita nel giorno della loro festa nazionale, ma non hanno potuto impedirci di trasformare per un giorno questa città spesso spaventata nella capitale europea della solidarietà, grazie a quella che è stata con ogni probabilità la più grande manifestazione mai vista nel Ponente ligure, in un luogo così remoto e difficile da raggiungere per la quasi totalità degli italiani.
Insieme, l’abbiamo fatto insieme; il corteo aveva una composizione davvero larga, dalle associazioni solidali alle femministe di NonUnaDiMeno, dai centri sociali alla Comunità di Don Gallo, dal Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza ai collettivi LGBT: insieme per una diversa idea di società che metta al centro la condivisione, la fiducia, la solidarietà.
Non potevamo farlo che qui e ora, proprio nel giorno della presa della Bastiglia, perché se vogliamo che Libertà, Uguaglianza e Fraternità abbiano ancora un senso per noi, allora devono averlo per tutt*, per i miliardi di abitanti della Terra che chiedono di condividere le risorse accumulate da questa Europa oggi stanca, impotente e cattiva: condividere o dividere, cambiare o morire.
Non lo dobbiamo solo alle persone migranti e ai loro sogni, lo dobbiamo soprattutto a noi stess*, al nostro futuro e a quello dei nostri discendenti; restiamo umani, davvero.
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