#noiincontriamopersone. La testimonianza di una volontaria dello sportello legale… A.M.A. è mio coetaneo. È arrivato dal Bangladesh per laurearsi in Italia, vista l’eccellenza del nostro paese nella formazione universitaria. In Bangladesh aveva un lavoro, ma l’ha lasciato per proseguire gli studi e poter trovare, tra qualche anno, un impiego migliore, che gli dia più soddisfazioni. A.M.A. ha una famiglia che lo supporta, ha da parte un po’ di soldi e decide quindi di partire. Ottiene il visto dall’ambasciata italiana, affronta un lungo viaggio e arriva a Milano nel settembre 2016. Ha tutti i documenti in regola e – come vuole la legge – inoltra entro 8 giorni dall’arrivo nel nostro paese la richiesta di permesso di soggiorno per studio. Tutto regolare; allora perché lo incontro allo sportello legale del Naga quasi tre anni dopo, con un disperato bisogno di essere ascoltato?
Perché, non si sa come, tutto è andato storto. Inoltrata la richiesta di permesso di soggiorno per studio, A.M.A. ha diritto ad iscriversi all’università e infatti si iscrive e intanto attende il permesso. Però, chissà perché, il permesso non arriva. Passano tre anni nei quali, in mancanza di documenti, A.M.A. non ha potuto lavorare, non è potuto partire per l’Erasmus per cui era stato selezionato, ha dovuto alla fine lasciare anche gli studi.
La storia ha dell’assurdo, all’inizio non ci si può credere e si sospetta che ci sia qualcosa sotto, che A.M.A. non l’abbia raccontata giusta, che qualcosa abbia combinato. Durante il primo incontro parliamo per circa un’ora e la sua storia ce la portiamo a casa dopo aver chiuso lo sportello. C’è quel sospetto, sì, ma c’è qualcosa che non torna: se ci fosse stato davvero qualche problema con la pratica, la Questura non avrebbe esitato a negare il rilascio del permesso. E invece questo diniego non è mai arrivato. Per tre anni è stato uno stillicidio di richieste di documenti già prodotti, un susseguirsi di appuntamenti inconcludenti.
Non capiamo come ciò sia possibile, la cosa semplicemente non ha senso e la mancanza di senso non è mai facile da accettare.
Ci rendiamo conto che l’unica cosa da fare è ricominciare da zero per cercare di interrompere questa catena e trovare una volta per tutte il bandolo della matassa.
Scriviamo una memoria in cui raccontiamo tutto per filo e per segno, in maniera semplice, così come A.M.A. ce l’ha raccontato e la mandiamo alla Questura, chiedendo di sbloccare la situazione, ormai diventata insostenibile.
E la Questura un bel giorno risponde che rilascerà il permesso ad A.M.A., perché ne ha diritto, perché ne ha sempre avuto diritto.
È una piccola vittoria, ma amara. Non è possibile che in uno stato di diritto succedano cose del genere. Vorrei tanto aver incontrato A.M.A. sui banchi universitari e non in via Zamenhof.
Foto:S. G. Kelly – Sede Naga – Sala d’attesa