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Un’altra narrazione è possibile

“Arrivano donne e poi sono uomini!” ha commentato sprezzante, qualche settimana fa, l’operatore dell’accettazione rivolto alle due volontarie del Naga che stavano cercando di ottenere l’accesso alle cure a cui F., cittadina brasiliana, aveva diritto.


Quando si parla di persone trans il linguaggio può essere il primo veicolo di rispetto, ma più spesso diventa il primo veicolo di violenza. Il deliberato e sistematico misgendering che in questi giorni è costretto a subire Ciro Migliore, il compagno di Maria Paola Gaglione, uccisa dal fratello in scooter a Caivano, è l’ennesimo esempio di narrazione tossica. Una narrazione che moltiplica la miriade di discriminazioni che le persone trans sono costrette a subire ogni giorno. Il discorso pubblico che si sviluppa attorno a un fenomeno influenza i comportamenti individuali giustificandone alcuni e condannandone altri, offrendo cornici distorte che finiscono per rendere accettabile, plausibile, possibile anche la violenza più feroce e che spesso questa violenza moltiplicano e confermano.

Che linguaggio e realtà non siano due universi distinti lo sappiamo bene: la parola “clandestino” ormai da decenni funziona come etichetta che sdogana comportamenti, pratiche e persino leggi profondamente discriminatorie. È solo una parola ma ha il potere di appiattire le esistenze, di negare la molteplicità delle vite di chi attraversa l’esperienza migratoria, di far scomparire, di non consentire traiettorie autodeterminate. Ci sono parole, come “clandestino” che oggi hanno il potere di sminuire persino la morte.

Riferirsi a una persona usando un genere diverso rispetto a quello con cui si identifica (misgendering) così come l’uso diffuso del nome che è stato attribuito alla persona alla nascita (deadname) invece di quello che si è scelta, sono pratiche linguistiche altrettanto violente e altrettanto deliberatamente utilizzate, altrettanto potenti nel far scomparire l’esistenza delle persone.Non accettiamo la spiegazione dell’ignoranza: come non è per distrazione che si scrive “clandestino” invece di migrante, non è per distrazione che si sceglie di chiamare Ciro al femminile.

Si tratta di scelte specifiche, politiche, volte al rafforzamento di un modello in cui tutto ciò che si discosta dalla rappresentazione sociale dominante deve essere confuso, deriso, sminuito.

Ma un’altra narrazione è possibile. Da anni la pratichiamo attraverso i nostri servizi e sempre più realtà lo denunciano: da più parti giungono discorsi diversi, narrazioni potenti, prese di parola da parte di soggetti oppressi che sono allo stesso tempo discorsi e atti fortemente politici.

Nel mondo complesso in cui ci muoviamo abbiamo bisogno di leggere i fenomeni attraverso molteplici direttrici. Ne abbiamo bisogno per muoverci nella realtà in senso trasformativo, per fare cambiamento. Abbiamo bisogno di lenti che ci consentano di vedere l’esistenza nelle articolate, molteplici sfaccettature che presenta, abbiamo bisogno delle esperienze delle persone, di incrociare e incrociarci sempre di più con le esistenze di chi subisce questa violenza. Come sempre, come ogni luogo non comune.

#ledistanzenonleprendiamo
#lemaninoncelelaviamo
#lamascherinanoncichiudelabocca

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