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PRANZO DI NATALE A SAN VITTORE

Anche i volontari e le volontarie vengono invitati ai pranzi che si organizzano nei diversi reparti: lunghe tavolate in cui, per una volta, te li ritrovi davanti tutti o tutte, e ancora di più ti salta all’occhio l’umanità marginale, disastrata, fisicamente e psichicamente compromessa che costituisce la stragrande maggioranza della popolazione che è ristretta oggi in un carcere di questo tipo. L’allegria forzata, i brindisi con le aranciate, la cagnara che accompagna l’immancabile tombola mettono a dura prova. Molti non ce la fanno e preferiscono rientrare in cella: meglio dimenticare che per il mondo è festa e fare che questo giorno passi il più in fretta possibile.

Ma quest’anno c’è una novità che ha reso ancora più intollerabile la celebrazione. Dopo quasi dieci anni in regime di cosiddetta ‘sorveglianza dinamica’, ossia con le celle aperte per gran parte della giornata, una circolare del Ministero della Giustizia del luglio 2022 relativa alla ‘riorganizzazione’ dei circuiti di pena di media sicurezza ha fatto sì che, da novembre 2023, a San Vittore si sia ritornati alla reclusione tradizionale. Si resta nelle anguste e malsane celle da tre, quattro, fino a sei persone per l’intera giornata fatti salvi i colloqui con parenti e avvocati, l’ora d’aria e la partecipazione alle per altro scarse attività trattamentali.

Al pranzo natalizio del Reparto Femminile S., una detenuta seduta di fronte a me, mi spiega con un esempio che cosa questo può significare, concretamente, per la vita quotidiana dietro le sbarre. Nel suo caso si tratta di condividere lo scampolo di metri quadri (ca. tre) della cella con altre tre compagne, una delle quali è una donna affetta da gravi turbe psichiche che riesce a tenersi relativamente tranquilla solo fumando ininterrottamente giorno e notte. La convivenza è perciò per le altre una vera sfida alla sopravvivenza. Così, questa sera, il pensiero di rientrare in quell’inferno, dopo un paio d’ore di lasagne, panettoni e una socialità dimenticata, diventa insostenibile: infatti S. – e non è l’unica – non riesce a mangiare, né a ridere e scherzare, e il suo racconto mi comunica un’angoscia terribile.

Il mondo fuori non sa di questo gravissimo cambiamento nel regime detentivo e non immagina che cosa possa comportare in un luogo che le persone libere preferiscono rimuovere, accantonare insieme ai pensieri più sgradevoli. Ma sarà bene invece averne conoscenza perché i volontari che quel luogo lo frequentano, vedono delinearsi di giorno in giorno una situazione ad alto rischio, a fronte dell’endemico sovraffollamento e di un deteriorarsi delle condizioni igienico-sanitarie denunciate in questi giorni anche dal Garante di Milano: proprio al Femminile di San Vittore sono ancora in uso vecchie latrine alla turca fuori norma, in celle che non hanno una separazione tra l’area servizi e la zona dove si svolge il resto della vita reclusa. I lavori necessari non si possono compiere perché non si sa dove spostare le detenute.

Viene dunque da pensare che sia proprio perché contempla la possibilità che la situazione nelle patrie galere possa farsi esplosiva che l’attuale governo si è premurato di inserire nel Pacchetto sicurezza la nuova fattispecie di reato di “rivolta in carcere”, punita con pena da 2 a 8 anni se consistente nella promozione, organizzazione o direzione di una rivolta, e con pena da 1 a 5 anni se consistente nella mera partecipazione. Inoltre il reato potrà essere contestato anche a un sodalizio di sole tre persone e anche se si attua nella forma di atti di resistenza passiva, e dunque non violenta: un attacco frontale a ogni forma di dissenso. Verrebbe da dire che, a questo punto, resterà solo la strada del suicidio per dar voce a chi vuole esprimere la propria protesta impotente contro condizioni disumane e degradanti di detenzione. Questo sembrano il messaggio che ci viene da Matteo Concetti, 23 anni e da Stefano Valtolina, 26, due giovani che hanno inaugurato anche questo nuovo anno togliendosi la vita rispettivamente nella prigione di Ancona Montacuto e in quella di Padova.

C’è di che rabbrividire.

Non ci si può più permettere di distogliere lo sguardo.

Foto: © Credito: Duilio Piaggesi / Fotogramma

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