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Ordinanza Corte di giustizia europea

Il commento dello sportello legale all’ordinanza del 21 marzo 2013 della Corte di giustizia europea. Scarica l’ordinanza.

“1) I cittadini di paesi terzi imputati o condannati per il reato di
soggiorno irregolare non possono, sulla base del solo reato di soggiorno
irregolare, essere sottratti all’ambito di applicazione della direttiva
2008/115/CE del 16 dicembre 2008, in applicazione dell’art. 2,
paragrafo 2, lettera b), della stessa;

2) la direttiva
2008/115 non osta alla normativa di uno Stato membro, che sanzioni il
soggiorno irregolare di cittadini di paesi terzi con un’ammenda
sostituibile con la pena dell’espulsione, ma tale facoltà di
sostituzione può essere esercitata solo se la situazione
dell’interessato corrisponde a una di quelle previste dall’art. 7,
paragrafo 4, di tale direttiva
.”

Quelli di cui sopra rappresentano i capisaldi
dell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia europea, con la
recentissima ordinanza del 21 marzo 2013, in risposta ad una domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta dal Giudice di pace di Lecce,
nell’ambito di un procedimento penale avviato a carico di un cittadino
straniero in conseguenza del suo soggiorno irregolare sul territorio
italiano.

Due, infatti, erano le questioni sollevate dal giudice nazionale. Vediamole:
1. Con la prima questione, è stato chiesto se i cittadini di paesi terzi imputati o condannati per il reato di soggiorno irregolare di cui all’art. 10 bis del TU
(quello ordinariamente conosciuto col termine di “reato di
clandestinità”) ed eventualmente sanzionati con l’espulsione giudiziale
di cui all’art. 16 del TU, possano, sulla base del solo reato di
soggiorno irregolare, essere sottratti all’ambito di applicazione della
direttiva 2008/115, in applicazione dell’art. 2, paragrafo 2, lettera
b), della stessa. Il dubbio del Giudice di pace, che lo ha indotto a
chiamare in causa la Corte di giustizia europea, riponeva nel fatto che
l’art. 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115 (da ora in
poi direttiva rimpatri) precisava che la stessa poteva non essere
applicata dagli Stati membri, allorché si trattasse di stranieri
sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o conseguenza di sanzione
penale, in conformità della legislazione nazionale. Atteso che la
legge italiana consente al Giudice di pace di provvedere all’espulsione
giudiziale, in sostituzione della pena dell’ammenda comminata a seguito
di sentenza di condanna per il reato di clandestinità, si è posto il
dubbio se, in tale frangente, proprio alla luce dell’eccezione riportata
all’art. 2, paragrafo 2, lettera b), si potesse invocare la non
applicabilità delle disposizioni comunitarie della direttiva rimpatri.

Sul punto, la Corte di giustizia, rifacendosi a precedenti pronunce, ha
stabilito che l’art. 2, paragrafo 2, lettera b), non può essere
interpretato nel senso che gli Stati membri possano omettere di
applicare le norme e le procedure disciplinate dalla direttiva rimpatri
ai cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l’infrazione
consistente nel soggiorno irregolare.

In maniera ancora più drastica e giusto per sgombrare il campo da
eventuali futuri dubbi e fraintendimenti, l’Organo di giustizia europea
stabilisce, in modo chiaro e reciso, che i cittadini di paesi terzi
imputati o condannati per il reato di soggiorno irregolare dalla
normativa di uno Stato membro (nel caso di specie, lo si ripete, il
reato di clandestinità da 10 bis) non possono, sulla base del solo
reato di soggiorno irregolare, essere sottratti dall’ambito di
applicazione della direttiva rimpatri.

2. Con la seconda questione, è stato chiesto se la
direttiva rimpatri osti alla possibilità di sanzionare penalmente la
mera presenza dello straniero sul territorio nazionale in condizione di
irregolarità, indipendentemente dal completamento della procedura
amministrativa di rimpatrio prevista dalla legge interna e dalla stessa
direttiva.
Anche su tale punto, rifacendosi a precedenti sentenze, la Corte di
giustizia europea si pronuncia in modo chiaro e dirimente. Premesso che
uno Stato membro non può applicare una normativa penale idonea a
compromettere l’applicazione delle norme comunitarie della direttiva
rimpatri, la conclusione cui si è giunti è che detta direttiva non
osta alla normativa di uno Stato membro, che sanzioni il soggiorno
irregolare di cittadini di paesi terzi con un’ammenda sostituibile con
la pena dell’espulsione (trattasi, per l’Italia, dell’art. 16 del TU),
ma tale facoltà di sostituzione (da ammenda in espulsione giudiziale)
può essere esercitata solo ed esclusivamente solo se la situazione
dell’interessato corrisponde ad una di quelle previste dall’art. 7,
paragrafo 4, della direttiva rimpatri.

In sostanza, l’applicazione dell’art. 16 del TU, nel passo in cui
consente al Giudice di pace di sostituire l’ammenda con la misura
dell’espulsione giudiziale, può trovare luogo solo nel contesto
specificato nell’art. 7, paragrafo 4, della direttiva rimpatri: trattasi,
delle ipotesi in cui sussiste il rischio di fuga ovvero ove la domanda
di soggiorno regolare sia stata respinta in quanto manifestamente
infondata o fraudolenta ovvero ove l’interessato costituisca un pericolo
per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
Ipotesi,
queste, che sono state poi trasfuse nella legge italiana, a seguito
della pubblicazione del decreto legge n. 89/2011 convertito in legge n.
129/2011. Ci si riferisce, tanto per chiarirsi, a tutte quelle ipotesi
ricomprese nell’odierno comma 4 dell’art. 13 del TU.

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