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Felicità senza frontiere

Giovedì 28 gennaio ho avuto la straordinaria opportunità di incontrare di persona Gethin Roberts, uno dei protagonisti del film “Pride” (non l’attore, lui in persona!); per capirci, Gethin è il pensoso e coraggioso libraio gallese che mette a disposizione il retro della sua libreria per le attività del gruppo LGSM (Lesbiche e Gay Sostengono i Minatori), che raccoglie fondi per le famiglie dei minatori in sciopero contro la decisione di Margaret Thatcher di chiudere le miniere di carbone.

Nelle sue brevi risposte alle domande del pubblico, Gethin ci ha ricordato una semplice, quasi banale verità: non esiste diritto ad amare senza il diritto a vivere dignitosamente; inutile ottenere il diritto di sposare chi vuoi, se questo diritto resta un’astrazione perché non trovi un lavoro che ti consenta di mantenerti o non puoi permetterti una casa dove vivere insieme.

Tramontata malinconicamente la certezza che fosse destino della classe operaia liberare tutte e tutti, ci ritroviamo in un mondo composto di minoranze frammentate, che faticano ad alzare lo sguardo dalle proprie incombenti preoccupazioni quotidiane e si guardano con reciproca diffidenza: l’impoverimento e la precarizzazione lasciano il tempo solo per la sopravvivenza e accendono l’odio verso altre minoranze, percepite come più favorite.

Connettere le lotte, saper vedere il disegno globale dell’ampliamento dei diritti e del benessere per tutti, è la grande sfida del nostro tempo.

Come concludevano Allison Glock-Cooper e T Cooper in un bell’articolo sull’edizione online del “Guardian” il 15 gennaio:
«L’identità non è mai semplicemente una sola cosa. Noi tutti siamo più delle caselle che scegliamo sui moduli degli enti pubblici. Nessuno è solamente “femmina” o “maschio”, o “nero” o “bianco” o “asiatico”, o “istruito” o “divorziato” o “un proprietario” o “quello che porta a casa il pane”. Tutti noi conteniamo moltitudini.»
[cfr http://www.theguardian.com/childrens-books-site/2016/jan/15/transgender-identity-changers-coopers-gender-fluidity?CMP=fb_a-culture_b-gdnculture]

Sono un lavoratore, sono gay, sono figlio di immigrati, sono un attivista e un socio del Naga, e in ogni momento della mia vita, in ogni diritto che rivendico, io sono tutte queste cose insieme: la consapevolezza di questa complessità, che in molti ambienti viene chiamata “intersezionalità”, deve uscire dall’ambito dell’autocoscienza privata e della ricerca accademica: è urgente farne una guida effettiva nell’azione quotidiana.

I diritti, tutti i diritti, ci riguardano tutte e tutti; oggi noi che abbiamo a cuore i diritti delle persone migranti, rom, sinti, dobbiamo imparare a confrontarci con altri soggetti, che spesso parlano linguaggi diversi da quello a cui siamo abituati: un confronto faticoso, ma questa è l’unica via per uscire dall’angolo della rassegnazione al razzismo e all’egoismo che sembrano prevalere.

Occorre costruire alleanze partendo da piccole azioni, dal fare cose insieme, che è poi l’unico modo di costruire fiducia reciproca, la precondizione perché si possano poi immaginare percorsi comuni.

Negli ultimi anni a Milano molto è stato fatto per avvicinare il movimento per i diritti delle persone LGBTI e quello per i diritti dei migranti, costruendo pezzetto dopo pezzetto una rete che pian piano sta imparando ad attivarsi per agire insieme: un segnale forte e straordinariamente in controtendenza rispetto a certa propaganda che insiste nel rappresentare migranti e persone LGBTI (e donne) come soggetti contrapposti e inconciliabili.

Cito solo tre esempi significativi:

  • Il Milano Pride 2014 era aperto dallo spezzone della rete “Milano Senza Frontiere” (della quale il Naga è stato tra i fondatori: http://on.fb.me/1P2vsqx) con un magnifico striscione il cui slogan recitava “Corpi e diritti senza frontiere”, seguito tralaltro da un nutrito gruppo di ragazze lesbiche e ragazzi gay di seconda generazione
  • Al Milano Pride 2015 sono stati raccolti fondi in favore dell’associazione Cambio Passo, nata per offrire immediata assistenza soprattutto ai migranti eritrei di Porta Venezia (http://on.fb.me/1NOCk6M)
  • Durante la manifestazione per la parità dei diritti per le famiglie formate da persone LGBTI di sabato 23 gennaio in piazza della Scala, è stata ricordata dal palco anche la situazione dell’associazione tunisina “Shams”, la prima per i diritti delle persone omosessuali legalmente riconosciuta in quel paese, che rischia la chiusura forzata da parte del governo: i presenti venivano invitati a farsi fotografare con cartelli con la scritta “Je suis Shams”, portati tra gli altri da una ragazza libica e da un ragazzo egiziano (http://on.fb.me/1o2yrGw).

In occasione dell’ultimo pride dello scorso giugno, il gruppo “I Sentinelli di Milano” (http://on.fb.me/1Pw3ODQ) ha deciso di partecipare alla raccolta fondi per “Cambio Passo” lanciata dal comitato organizzatore portando in corteo delle cassette per la raccolta fondi con la scritta “i Sentinelli di Milano Sostengono i Migranti”, un esplicito omaggio alla storia raccontata nel film “Pride”: ignoravamo che a Londra proprio allora stava nascendo un movimento che porta esattamente il nome “Lesbiche e Gay Sostengono i Migranti”, che si prefigge proprio di raccogliere ed attualizzare l’eredità di quell’esperienza di sostegno ai minatori: una splendida coincidenza, che ci indica che si tratta di un bisogno diffuso anche al di là della nostra città e del nostro paese, dal quale possono nascere davvero inaspettate novità.

Permettetemi di concludere questa riflessione auto-citando il finale del mio intervento del 23 gennaio dal palco di piazza della Scala: «I diritti delle donne, dei lavoratori, dei migranti, dei disabili non sono cose che riguardano altri: riguardano noi, tutte e tutti noi, perché ogni offesa alla dignità è una ferita alla libertà di ciascuna e ciascuno di noi. Non dobbiamo mai più lasciarci dividere da false contrapposizioni e benaltrismi; la nostra è una battaglia per diritti universali, una battaglia per la felicità.»

Queste parole sono state accompagnate da un applauso che ha superato oltre ogni più alta aspettativa, segno che all’interno della nostra comunità, tanto complessa, a volte contraddittoria, spesso litigiosa, si incomincia finalmente a capire che l’unica via per la liberazione è tenere insieme i nostri diritti con quelli degli altri soggetti sociali che reclamano dignità, libertà e giustizia.

I diritti delle persone LGBTI, come i diritti dei migranti, dei rom, dei sinti, come i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, come i diritti delle donne, non riguardano l’una o l’altra minoranza: riguardano tutte e tutti, perché un mondo più ospitale è un bene comune di cui tutti godremo, noi e i nostri figli.

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