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Una testimonianza dal servizio carcere del Naga

Questa estate non è stata pesante solo per noi che siamo “fuori” ma ancor di più per
coloro che sono “dentro” e le cronache giornalistiche lo hanno evidenziato riportando i numeri dei suicidi e le loro storie.
Quando si parla della situazione carceraria, la parola che costantemente si ripete è: sovraffollamento. Come se tutto quello che abbia a che fare si
possa giustificare. Come se fosse inevitabile. E allora, noi che da anni entriamo in carcere, cercheremo di fare un po’ di chiarezza.
Nel gennaio 2013, con la sentenza “Torregiani” l’Italia è stata condannata dalla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo (EDU) per violazione dell’articolo 3 della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che proibisce la tortura e il trattamento o pena
disumani o degradanti. Questo divieto doveva essere applicato in ogni caso di
sovraffollamento.
E, sempre secondo la sentenza, la creazione di nuove carceri avrebbe dovuto essere una scelta eccezionale. Non era considerata una misura efficace per contrastare il
sovraffollamento; al contrario, si doveva analizzarne le cause e provvedere di
conseguenza.
Oggi si parla molto di costruire nuove carceri, anche differenziate, o di ristrutturare le caserme in disuso. Progetti già falliti in passato. Nessun accenno alle misure alternative e alla depenalizzazione di alcuni reati.
Bisogna “garantire la sicurezza” e anche tacere dei drammi che tra le mura si consumano nell’indifferenza.

Foto: © Credito: Stefano De Grandis / Fotogramma

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