Nel mondo che si dice “civile”, il potere si accanisce sui corpi delle persone.
I corpi respinti alla frontiera col Messico, che il presidente degli Stati Uniti cerca di usare per risollevare le sorti di una disastrosa campagna elettorale.
I corpi maciullati, affamati, assetati, ammalati della gente di Gaza, e quelli massacrati o presi in ostaggio lo scorso 7 ottobre, sui quali seggono i governanti di Israele e i leader di Hamas.
I corpi delle bambine e dei bambini rapiti, delle e dei civili bombardati, dei militari mandati al massacro in Ucraina, in Sudan, nello Yemen, in Siria…
I corpi migranti usati come merce di scambio e di ricatto tra i governi dell’Unione Europea nei loro disperati tentativi di recuperare il consenso perduto con la distruzione dello stato sociale.
I corpi che secondo i progetti del governo italiano dovrebbero essere intercettati nel Mediterraneo, portati a sud di Lampedusa, trasbordati a carissimo prezzo su navi private in mezzo al mare, e infine reclusi nel lager albanese.
I nostri stessi corpi, lasciati senza cure da un servizio sanitario sempre più privatizzato, fatti a pezzi o intossicati dagli “incidenti” sul lavoro o “soltanto” schiantati dalla fatica di orari e ritmi impossibili, costretti dalla rendita immobiliare a spazi sempre più ridotti o a viaggi quotidiani sempre più lunghi.
A questa politica feroce e sanguinaria rispondiamo con la sola strategia che conosciamo: accogliendo, accompagnando, curando e con la potenza dei nostri desideri, dei nostri corpi e di quelli di chi parte, fugge, migra.
I corpi come strumento politico e simbolico potentissimo e incoercibile e che, proprio per questo, scatena una reazione così violenta del potere. Tanto più il potere è logoro, tanto più la reazione è violenta. Ma le migrazioni non finiranno: altri corpi sono pronti a partire, a vivere, a desiderare: vi dovete rassegnare.
#difendiamoiconfininaga
Foto di michelle guimarães