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La lunghissima storia di G.

Una testimonianza dal Centro Naga Har.

L’anno in cui G. ha ricevuto l’ultimo suo documento italiano valido Intel lanciava il suo primo microprocessore, moriva Jim Morrison e John Lennon pubblicava “Imagine”.

Da allora la sua storia si è snodata tra l’urgenza di vivere il quotidiano e di crescere i figli tra episodi di prevaricazione familiare e maschile.

La lingua del suo Paese nemmeno la ricorda più (“tranne le parolacce”).

Eppure, per lo Stato italiano, dopo più di 50 anni vissuti qui, legalmente non esisteva.

Poi è arrivata al Centro Naga Har, dove abbiamo semplicemente dato ascolto alla sua storia: insieme abbiamo ritrovato i documenti di nascita risalenti agli anni del dopoguerra e curato i tortuosi rapporti con le autorità italiane.

Poi, anche grazie a una brava avvocata, è riuscita ad avere la Protezione speciale, utile strumento – oggi praticamente abolito – di emersione per casi simili.

Potrà così avere assistenza sanitaria e tutti i diritti che le spettano.

Questo succedeva nel 2023.

Qualche giorno fa una volontaria la incontra nuovamente:

“Purtroppo il permesso è arrivato alla sua scadenza e per poterlo rinnovare serve il passaporto.

Il Consolato serbo è a Milano e G. continua a vivere in un paesino in provincia di Imperia, tocca venire a Milano. Iniziamo a pianificare il viaggio, G. ha 79 anni, problemi di vista e di udito, sono preoccupata, se la caverà in viaggio da sola?

Inutile preoccupazione, G. prende ben 2 treni e il secondo, da Genova a Milano, è un regionale pieno come un uovo! Poco male, riesce a sedersi su uno strapuntino nel corridoio, arriva a Milano e prende ben due metropolitane per raggiungere casa di un vecchio amico che la ospiterà per 2 notti. Al caro amico chiede di farle trovare un francesino morbido con la mortadella che le manca assai. Nel frattempo, mi manda una ventina di vocali per aggiornarmi passo passo.

La mattina alle 9 ci troviamo in piazza Duomo per andare al Consolato, lei, gagliarda, arriva in metro e già alle 8.40 mi manda un vocale per dirmi che mi sta aspettando. Entriamo al Consolato e gli operatori dello sportello si rivolgono in serbo.

Ancor prima di me, G. esordisce in italiano: “no guardate, parliamo in italiano, manco dalla Serbia dal 1966, ricordo solo qualche parolaccia”, la signora dietro il vetro è perplessa, prendo la parola io e cerco di riassumere gli ultimi 60 anni di permanenza in Italia di G. con il minor numero di parole: si convincono della necessità del passaporto, ci sentiamo meglio.

Per quasi due ore fanno controlli con la Serbia di cui non ci è dato sapere, poi la chiamano per le foto, evviva. Si toglie la giacca mi chiede se i capelli sono messi bene e di aggiustarle il colletto della camicetta. Esce vittoriosa, “sono venuta bene!”.

Nel finale rimaniamo un po’ deluse perché avevamo, erroneamente, capito che ce lo avrebbero rilasciato subito e invece bisogna aspettare che la Serbia lo invii al Consolato.

Le toccherà tornare a Milano quando il passaporto sarà pronto ma vabbè…. Il più è fatto.

Sarà un’occasione per rivederci, bere il caffè della vittoria insieme, respirare l’atmosfera della metropoli a lei cara, passare ancora qualche ora con l’amico M. che le farà trovare la mortadella e la “colla per i denti” della marca giusta che a casa sua non si trova!

Una vera donna di mondo, quasi 80 anni, una vita di fatiche e tutt’ora in salita, ma una energia da ragazzina. Una fortuna, per noi, averla incontrata”.

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