Notizie

Il Naga in galera!

Lo racconta Eva Banchelli, Servizio Carcere Naga.

Che cosa fa il Naga “in galera”?

Incontra in colloqui individuali detenuti e detenute  stranieri/e e rom che hanno bisogno di qualsiasi forma di supporto, anche solo di ascolto: dunque problemi di relazione con l’istituzione, con gli avvocati, con le famiglie; tutela della salute e dei diritti che si rivelano più fragili durante la detenzione (diritto alla salute, alla comunicazione con le famiglie, alla difesa, incluso l’accesso alle  misure alternative troppo spesso precluse agli stranieri), alla comprensione linguistica, al lavoro, a richiedere un permesso di soggiorno anche nella detenzione.

Che cosa distingue l’impegno del Naga in carcere?

Naga è l’unica associazione laica che si fa carico specificatamente dei diritti e delle necessità di detenuti/e stranieri/e i quali  troppo spesso, per la loro condizione di stranieri per lo più irregolari, subiscono varie forme di non conclamate aggravanti della pena detentiva: isolamento linguistico, lontananza da familiari e amici (quindi assenza di una rete di supporto, anche materiale, esterno), difficoltà ad accedere alle misure alternative, difficoltà a relazionarsi col personale dell’istituzione, con i magistrati e gli avvocati. Come volontarie e volontari NAGA abbiamo inoltre l’opportunità di conoscere direttamente le problematiche del carcere e di denunciarle, di rompere la congiura del silenzio.

Ti ricordi la prima volta che sei entrata?

Certo. Sono stata affiancata da una straordinaria veterana Naga a San Vittore, Carla Beltrami, che è stata una guida impareggiabile per capire con che postura mettersi in relazione sia con detenuti/e che con il personale dell’istituzione. E’ stata una prima volta di forte impatto emotivo, in particolare al reparto femminile dove poi sono rimasta per molto tempo.

Quali sono le richieste più frequenti che ricevete?

Come regolarizzarsi dopo il fine pena; contattare parenti e avvocati, accelerare cure mediche urgenti, sostegno psicologico nei molti casi di depressione, ecc. A volte si resta sorpresi da quello che ci viene chiesto: un giovane detenuto, portato in carcere nella notte, ci chiese di prenderci cura dei suoi pesci e del cane.

Come ti senti quando finisci il tuo turno ed esci dal carcere? Che cosa resta addosso e che cosa resta dentro?

Sono sempre mattinate pesanti in cui si viene investiti da racconti e vissuti spesso estremi per i quali per lo più non c’è altro da offrire che un ascolto attento e rispettoso. Nella fatica si è tuttavia, sempre, enormemente arricchiti sul piano umano ed emotivo dalle storie con cui si viene in contatto anche quando – quasi sempre – accentuano il senso di impotenza.

Negli anni hai visto cambiare il sistema-carcere?

Dopo una fase di apertura quando fu varata la ‘vigilanza dinamica’ che implicava il regime di celle aperte, si è ritornati dopo il covid e con l’attuale governo al carcere chiuso, sebbene cronicamente e tragicamente sovraffollato. Il cambiamento al momento equivale solo a un peggioramento al quale non si vedono spiragli (se non, di tanto in tanto, iniziative o proposte emergenziali che manifestano la palese non volontà di affrontare realmente i problemi). Il numero crescente di eventi drammatici – aumento dei suicidi e degli atti autolesionistici – non produce alcun effetto.

C’è un episodio o un/una detenuta che ricordi in modo particolare?

Sono talmente tanti che non saprei da che parte cominciare. Però mi piace sempre ricordare la prima volta quando, al Femminile, una detenuta mi abbracciò incredula perché parlavo tedesco, la sua lingua, e le sembrava di sognare visto che da quando era reclusa viveva in un inferno di silenzio e mancanza di comunicazione. Ci siamo viste per molti mesi, era una donna intensa, intelligente, implicata in una vicenda molto complicata tra Italia e Germania. Ci siamo scritte a lungo anche dopo che è stata estradata.

Sostieni il Naga, adesso.

Il tuo sostegno, la nostra indipendenza.