Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 16 luglio 2025, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40 co. 6 TUI e dell’art. 22 comma 1 lett. a) L.R. Regione Lombardia per contrasto con l’art. 3 co. 1 e 2 Cost., “nella parte in cui prevedono, tra i requisiti per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica richiesti agli stranieri titolari di carta di soggiorno e agli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso di permesso di soggiorno almeno biennale, quello dell’esercizio di una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo.” La decisione riguarda il ricorso presentato da diverse associazioni, tra cui ASGI, APN, NAGA e SICET Lombardia, insieme a due cittadini stranieri esclusi dalle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Il caso trae origine dall’esclusione di un cittadino egiziano e una cittadina algerina dalle graduatorie per l’assegnazione di alloggi pubblici gestiti da ALER Milano. Entrambi i ricorrenti erano stati cancellati dalle rispettive graduatorie per non aver soddisfatto il requisito dell’esercizio di “una regolare attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo” previsto dall’art. 40 comma 6 del Testo Unico Immigrazione. Nel caso del ricorrente egiziano, la situazione era particolarmente emblematica poiché l’uomo era stato riconosciuto invalido al 100% con permanente inabilità lavorativa e successivamente licenziato per inidoneità al lavoro.
La questione di legittimità costituzionale
Il Tribunale di Milano ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale dell’art. 40 comma 6 del D.Lgs. 286/1998 e dell’art. 22 comma 1 lett. a) della L.R. Lombardia n. 16/2016, che riproducono sostanzialmente gli stessi requisiti e ha considerato la questione non manifestamente infondata applicando i parametri di valutazione già utilizzati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2020, che aveva dichiarato illegittimo un requisito temporale per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica in Lombardia.
Il giudice ha evidenziato diversi profili di irragionevolezza del requisito lavorativo.
-In primo luogo, appare contraddittorio prevedere una soglia di sbarramento basata sull’attività lavorativa per un servizio destinato proprio ai soggetti economicamente deboli che incontrano difficoltà a reperire alloggi alle condizioni di mercato. La condizione di bisogno nasce più facilmente dall’assenza o precarietà di un’occupazione lavorativa, rendendo paradossale escludere proprio chi si trova in maggiore stato di necessità.
-La stessa locuzione “regolare attività lavorativa” presenta una genericità che consente interpretazioni difformi e contraddittorie, non tenendo conto della diversità delle attività, delle scadenze contrattuali e dei redditi derivanti, che possono essere anche estremamente modesti. Il requisito cristallizza una condizione al momento della domanda che potrebbe non riflettere l’effettivo stato di bisogno del richiedente.
-Il Tribunale ha inoltre sottolineato che la norma non tiene conto di situazioni di impossibilità derivanti da cause non imputabili al richiedente, come nel caso di invalidità riconosciuta, e che concentrare l’attenzione sulla sola esistenza di attività lavorativa può fornire una rappresentazione non conforme alle finalità dell’edilizia residenziale pubblica.
Un aspetto determinante della valutazione è la circostanza che il requisito lavorativo non sia richiesto ai cittadini italiani e dell’UE. Il Tribunale ha evidenziato come non sia ravvisabile una logica che giustifichi una disparità di trattamento tra cittadini UE ed extra-UE a fronte di una medesima condizione di bisogno, violando così il principio di eguaglianza formale e sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Il mancato utilizzo del parametro della Direttiva 98/2011/UE
Lascia perplessi la scelta del Tribunale di non utilizzare come parametro di incostituzionalità la direttiva 2011/98/UE, concentrandosi invece esclusivamente sugli 2 e 3 della Costituzione. Il Tribunale motiva la scelta sulla base della relazione illustrativa del D.Lgs. 40/2014 di recepimento della direttiva e di un Dossier predisposto dall’ufficio legislativo del Senato: in questi atti il governo aveva mostrato la volontà di avvalersi della facoltà di deroga prevista dalla direttiva 98 e, secondo il Tribunale, questo sarebbe sufficiente a integrare i requisiti che la Corte di Giustizia ha sempre ritenuto necessari perché uno Stato possa avvalersi di detta facoltà.
E’ importante altresì segnalare che, in attesa di questa decisione, altri Tribunali (Bologna e Torino) stanno esaminando la stessa questione e potrebbero emettere ordinanze che valutino diversamente il profilo della violazione della direttiva 98/2011/UE, sollevando anche la questione dell’illegittimità del requisito del permesso biennale.
Le conseguenze della decisione
Con questa ordinanza, il Tribunale di Milano ha sospeso il giudizio e disposto l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. La decisione si inserisce nel solco di un crescente orientamento giurisprudenziale che mette in discussione i requisiti discriminatori per l’accesso ai servizi sociali, evidenziando come la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica sia incompatibile con esclusioni rigide che colpiscono proprio i soggetti in maggiore stato di bisogno.
La questione rimessa alla Consulta assume particolare rilevanza non solo per i diritti degli stranieri, ma per la stessa concezione dell’edilizia residenziale pubblica come servizio sociale destinato a garantire il diritto fondamentale all’abitazione, che, come ha scritto la stessa Corte in passato “rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione’”.
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