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Il pensiero – Dentro o Fuori

L’immigrazione è diventata il principale argomento di discussione in Italia. Secondo l’indagine di Carta di Roma, nel 2017 “migrante” è stata la parola più ricorrente sulle prime pagine dei giornali, comparendo ben 2.445 volte. In questo gran parlare, particolare attenzione viene riservata all’accoglienza e a chi ne dovrebbe (o non) usufruire.
Negli ultimi anni il Naga ha svolto delle indagini in merito all’accoglienza nei Centri di Accoglienza Straordinari (CAS) gestiti della Prefettura di Milano: i risultati sono stati diffusi con la newsletter (Ben)venuti e i due report (Ben)venuti! (2016) e (Stra)ordinaria accoglienza (2017).
Il nostro lavoro di monitoraggio continua, ma ci siamo resi conto di quanto sia sempre più urgente spostare lo sguardo su coloro che sono esclusi dai circuiti di accoglienza istituzionale, su chi rimane FUORI.
Chi sono le persone che rimangono fuori?
L’universo appare molto sfaccettato, ma possiamo individuare alcune situazioni.
Richiedenti asilo che non hanno più accesso all’accoglienza nei CAS gestiti dalla Prefettura perché ne hanno perso il diritto per diversi motivi: la loro domanda d’asilo è stata respinta e non hanno potuto presentare ricorso; hanno perso il ricorso e non possono più accedere al secondo grado di giudizio (che, dopo le modifiche introdotte da Minniti-Orlando, è ormai solo la Cassazione); si sono allontanati da una struttura di accoglienza per spostarsi a Milano; hanno ricevuto un’espulsione al momento della presentazione della domanda d’asilo.
Persone escluse dal sistema di accoglienza senza averne mai usufruito poiché coloro che accedono alla procedura senza essere sbarcati sulle nostre coste, non rientrano nelle “quote sbarchi” e per una dichiarata mancanza di posti disponibili sono costretti ad attendere settimane se non mesi prima di riuscire a formalizzare la domanda di asilo presso le questure e avere accesso al sistema di accoglienza.
Ingrossano le file dei senza fissa dimora i titolari di protezione internazionale o umanitaria in attesa che si liberi un posto per poter accedere a un progetto SPRAR, così come coloro che non sono riusciti a raggiungere un’effettiva autonomia abitativa e lavorativa prima di dover abbandonare il progetto di accoglienza.
In ultimo ci sono i “Dublinati di ritorno” ovvero coloro che vengono rimandati in Italia da altri paesi europei in applicazione del Regolamento Dublino. Tra questi, non tutti riescono ad accedere al sistema di accoglienza per insufficienza di posti o perché hanno perso il diritto all’accoglienza.
Con questa nuova newsletter vogliamo quindi raccontare i luoghi, le persone e i dati e proporre delle riflessioni inedite su un fenomeno destinato a diventare sempre più centrale nel dibattitto sull’immigrazione. È infatti l’intero sistema di gestione dei flussi migratori in Italia a essere configurato per produrre “clandestinità” e, negli ultimi anni, fare richiesta di protezione internazionale è diventata l’unica via per poter rimanere legalmente sul territorio italiano. La normativa italiana non prevede, infatti, che si possa soggiornare nel nostro paese per cercare un lavoro (i decreti flusso, unico strumento previsto a questo scopo, non vengono emanati o riservano quote a poche migliaia di persone) e, di fatto, quasi tutti coloro che sbarcano nel nostro paese avviano la richiesta d’asilo, spesso inconsapevoli di cosa significhi. L’esame delle domande avviene spesso in modo superficiale e standardizzato, e porta a un elevato numero di dinieghi.
Le conseguenze vengono scaricate, come sempre, sulle persone: dopo anni di presenza sul territorio ci si ritrova privati dei diritti più elementari.

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