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I dati – Persone non numeri

Quest’anno l’Osservatorio Naga, accanto all’ormai tradizionale monitoraggio dei centri di accoglienza straordinaria, sta rivolgendo la sua attenzione, in modo più specifico, a tutti quelli che, pur avendo diritto all’accoglienza, ne sono privi.

L’interesse è nato anche in seguito a diverse segnalazioni che l’unità di Medicina di Strada della nostra associazione riportava sempre più frequentemente dalle proprie uscite. Le esplorazioni effettuate per individuare zone di emarginazione e isolamento, cui portare un supporto sanitario, mostravano una presenza sempre più consistente di richiedenti asilo e rifugiati prima intercettati dal sistema di accoglienza e poi per varie ragioni espulsi e/o allontanati.

In 12 mesi, abbiamo lavorato in continuità con le attività di esplorazione di Medicina di Strada, ritornando più volte sui vari luoghi, per conoscere la realtà di ogni insediamento e le storie di chi li abita.

Restituiamo in questo numero una descrizione delle tipologie di insediamenti informali che abbiamo trovato. Iniziamo con una divisione in base alle caratteristiche dello spazio e delle possibili infrastrutture in cui si trovano:

  1. Strutture coperte abbandonate: vecchi capannoni industriali, magazzini FS, costruzioni/edifici i cui lavori sono stati interrotti in fase preliminare. Sono spazi costituiti solo da un suolo su cui camminare e un piano/un soffitto, ma senza mura o pareti per trattenere il calore o dividere gli ambienti in spazi personali. Spesso sono strutture senza acqua né luce, reperita in alcuni casi con allacciamenti molto precari. Possono essere più o meno esposti al freddo e al vento e non vi è alcuna possibilità di tenere lo spazio salubre e pulito (mancanza di sistemi di scarico e di raccolta dei rifiuti).
  2. Spazi all’aperto (parchi, cantieri dismessi etc). Sono nascosti da mura, alberi, reticolati o sufficientemente distanti dalla strada e dagli sguardi. La reperibilità di acqua o luce non è possibile e le persone ricercano quindi fonti esterne.
  3. Palazzine abbandonate dove lo spazio è edificato e organizzato secondo una divisione in appartamenti. In queste è possibile far arrivare acqua e luce e garantire delle condizioni di vita minime.

All’interno di queste tre casistiche si trovano vari livelli di riorganizzazione degli spazi e di intervento sugli stessi. All’interno delle prime due casistiche (spazi all’aperto e strutture abbandonate), abbiamo visto la creazione di capanne, casotti, baracche, garantendo non solo un funzionale riparo dal freddo, dallo sporco e dalla polvere, ma anche uno spazio per la propria privacy. In altri casi invece, questi luoghi sono riempiti da distese di materassi e sacchi a pelo: semplici rifugi notturni, senza le condizioni per una cura di sé e del proprio spazio, accampamenti precari, disagevoli e temporanei – anche se il tempo effettivo di permanenza può essere di diversi mesi o anni. Una tale differenza può dipendere da vari fattori (per esempio, dalle caratteristiche infrastrutturali stesse, o dal tempo di permanenza dell’insediamento). Ovviamente le diverse possibilità di uso dello spazio influiscono sulla possibilità delle persone di essere agenti e avere potere di intervento sulla gestione della propria persona e dello spazio dedicato alla sua cura quotidiana.

La visibilità influisce di certo sulla possibilità di creare o meno baracche o rifugi che si estendono in altezza, o rimanere raso terra, distesi su di un materasso. In alcuni casi, per esempio, essendo stati visti e individuati, alcuni accampamenti sono stati sgomberati, le capanne rimosse, portando quindi i loro abitanti a usare da quel momento delle tende da campeggio (spesso sulla stessa porzione di terreno), più piccole e facilmente smontabili e rimontabili tra giorno e notte.

All’interno delle palazzine occupate invece, le condizioni di vita diventano più accettabili. In particolare, negli spazi nati da azioni collettive di occupazione, l’organizzazione politica degli stessi permette l’ottenimento di acqua, corrente e gas per i suoi abitanti e la creazione di un’idea di collettività al suo interno.

Abbiamo trovato palazzi in buone condizioni, con bagni e allacciamenti, con gruppi referenti che gestiscono gli ingressi, assegnando gli spazi e aiutando le persone a sistemare le stanze in modo da farle diventare dei piccoli appartamenti. In queste strutture, si può individuare un gruppo interno che si fa carico della gestione della struttura, stimolando una maggior consapevolezza sull’uso comune degli spazi. La presenza di un gruppo politicamente consapevole permette anche che i soggetti che ne fanno parte possano essere rappresentati o possano avanzare direttamente delle istanze di fronte alle istituzioni.

Tipologie di persone che si trovano negli insediamenti

Se la nostra ricerca era iniziata per vedere dove i rifugiati andassero a vivere una volta abbandonati i centri di accoglienza, non è, ovviamente, solo questa la categoria che abbiamo ritrovato nei vari insediamenti, così come non è possibile individuare una categoria univoca. Richiedenti asilo, titolari di protezione (quindi non solo cittadini in regola, ma con una serie di diritti esigibili in quanto soggetti meritevoli di protezione); stranieri appena arrivati in Italia che non hanno (ancora) chiesto la protezione; stranieri in Italia da anche più di vent’anni, parlanti un ottimo italiano, ma che, avendo perso il lavoro, hanno di conseguenza perso i documenti; stranieri regolari e con permesso di soggiorno; e infine italiani. Non si tratta di persone in stato di estrema emarginazione: alcuni lavorano, ma non guadagnano abbastanza per pagare un affitto a prezzi di mercato; altri hanno avuto problemi recenti e hanno difficoltà a risolverli. Alcune persone non possono lavorare per problemi di salute, ma non possono accedere ai sussidi statali, altre sono alla ricerca attiva di un lavoro e ogni mattina, abbandonato il proprio materasso, la propria tenda, si mettono in marcia per raggiungere innanzitutto il posto, più o meno lontano, dove è possibile lavarsi e cambiarsi per essere presentabili per la ricerca di un lavoro.

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