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Il pensiero – Invertire il processo

FOTO: Ambulatorio Naga  (I. Carmassi)

I primi effetti dell’entrata in vigore della legge 132/2018 in materia di sicurezza e immigrazione, meglio nota come legge Salvini, vengono narrati enfatizzando l’emergenza che si sta creando perché, con l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, una gran parte delle decine di migliaia di coloro che ne erano titolari, oppure che erano in attesa che venisse loro riconosciuto, non riusciranno a ottenerne uno di altra tipologia e, di conseguenza, saranno destinati a diventare dei senza fissa dimora.
Molte voci, tra quelle che contestano la legge, aggiungono, a questa preoccupazione, quella dell’allarme sociale provocato dalla creazione di una nuova manovalanza che, sostengono, sarebbe facile preda della criminalità organizzata. Assunto non fondato sulla realtà delle vite di una grandissima parte delle persone che, come accade da decenni, vivono in Italia pur non avendo un permesso di soggiorno.
Non troppo paradossalmente, chi preferisce soffermarsi su questi argomenti finisce per criticare la legge utilizzando gli stessi concetti, sicurezza e emergenza, di chi l’ha concepita.
Con questa osservazione non si intende assolutamente negare quanto sta avvenendo o, per essere precisi, avverrà nei prossimi mesi: l’eliminazione del permesso di soggiorno umanitario costringerà allo stato di irregolarità, con tutte le difficoltà che questa condizione comporta, decine di migliaia di persone. Il destino di molti di loro sarà quello di altre centinaia di migliaia di persone che, per effetto delle leggi sull’immigrazione previgenti, vivono in strada, in occupazioni o in insediamenti informali.
Leggi che impedivano, ai più, qualsiasi possibilità di ingresso regolare sul territorio nazionale, rendendo inevitabile, per chi voleva tentare di ottenere un permesso di soggiorno, la presentazione di una domanda di protezione internazionale. I “falsi profughi” non sono altro che persone a cui questa domanda veniva respinta, oppure alle quali veniva accolta nella forma “residuale” – citiamo il novello legislatore – del permesso umanitario.
La nuova legge, lasciando invariato questo contesto, aumenta i soggetti che risiederanno sul territorio nazionale in condizioni di irregolarità: uno stato giuridico che impedisce di esercitare diritti essenziali.
Viene, inoltre, formalizzata l’esistenza dei richiedenti asilo privi di iscrizione anagrafica: una categoria già esistente nei fatti a causa delle inadempienze del sistema di accoglienza.
Costoro, tra l’altro, avranno difficoltà ad accedere al servizio sanitario nazionale e, comunque, non riusciranno a farlo con regolarità;  avranno difficoltà ad accedere  ai servizi per casa e lavoro;  avranno difficoltà ad accedere ai corsi di formazione professionale;  avranno difficoltà a prendere una patente di guida;  avranno difficoltà a convertirne una estera;  avranno difficoltà ad aprire un conto bancario.
Una condizione, dunque, che assomiglia molto a quella dell’irregolare perché limita fortemente la possibilità di diventare un soggetto indipendente in grado di avviare un proprio progetto di vita autonomo.
Piuttosto che di sicurezza ed emergenza, forse, sarebbe il caso di preoccuparsi di invertire il processo ventennale che ha progressivamente esteso il numero di persone a rischio di irregolarità, con l’obiettivo di ridurlo a zero.

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