Notizie ,

I luoghi e le Persone – Se qualcosa importa

In mezzo al verde, una casa: non è un granché, ma ci si adatta a tutto. L’occupante la mostra con orgoglio…

Continuano le nostre visite ai cosiddetti insediamenti informali, o per meglio dire a tutti quei raggruppamenti spontanei di persone che per necessità, pur avendo permessi di soggiorno in piena regola, si trovano a dormire per strada o in spazi di fortuna, diventati per forza di cose, abitazioni precarie per chi non ne ha. E così ci accorgiamo che c’è chi si adopera per contribuire a trasformare luoghi, che abitazioni non sono, in rifugi notturni, mettendo a disposizione gli spazi disponibili. Ci piace poter ospitare in questa nostra newsletter, proprio in questa rubrica che parla di luoghi, il racconto di una nostra cara amica che con noi condivide la problematica e ci racconta la sua esperienza.

Se qualcosa importa…

Circa 15 anni fa una mattina abbiamo incontrato una decina di donne ucraine che dormivano, in pieno inverno, su delle panchine nel parco: il dormitorio nella strada accanto le aveva “dimesse” poiché era trascorso il mese di permanenza consentito lì dentro. È iniziato così quel lungo percorso che ci ha portato a utilizzare spazi, anche precari, perché chiunque si trovasse fuori al freddo o senza un luogo dove dormire potesse trovare un riparo. Per un mese abbiamo improvvisato materassi e coperte e le donne hanno dormito nell’ex serra – allora era ancora riscaldata. Qualcuno ha portato panettoni e generi di conforto e così un Natale e un Capodanno assolutamente imprevisti sono trascorsi non nell’abbandono del parco. Sono state proprio quelle panchine a suggerirci che forse quel luogo poteva essere riusato in modo diverso. Coloro che per qualche motivo non trovavano o non trovano posto nel dormitorio accanto si siedono su quelle panchine. Si riconoscono subito: hanno qualche sacchetto, una valigia, uno zaino un po’ conciato, ma soprattutto facce stanche. Si potrebbe far finta di nulla, giusto un saluto, e continuare con il proprio lavoro. Ma “Ciao, ti serve qualcosa? Qualcosa di caldo da bere, o una colazione?” e così le storie si intrecciano, si intensificano i racconti, ci passano davanti agli occhi la depressione e lo scoramento, difficilmente – forse purtroppo – l’incazzatura. Quella, l’incazzatura, probabilmente si è esaurita anch’essa, nel tempo. Una cosa è sapere che esistono grandi difficoltà che tantissime persone hanno, un’altra è toccarle con mano, nella quotidianità, per cui poi ogni altro problema ciascuno di noi possa avere diventa veramente molto relativo, si annacqua e può diventare anche ridicolo di fronte all’immensità – non del cielo – ma delle sfighe che altri vivono a quel livello. Dalle difficoltà “di salute mentale” all’aver soccorso chi ha tentato un suicidio sulla soglia del luogo, al guardarsi intorno perché si sappia e non si sappia che quel collettivo di persone che si scambiano racconti disperati, ma anche concrete azioni per risolvere problemi, si ritrova lì. E occhio a quanta corrente si usa, ai pericoli di corto circuito, non si può bruciare il fornello, costruiamoci una doccia, e costruiamo piccole stanze di buon legno per dare dignità a un tentativo di privacy. Ma poi c’è chi arriva e racconta dei lunghi percorsi nel deserto, chi ha subito grandi traumi e l’etnopsichiatria ci chiede aiuto, il parco, gli animali, il grande rifugio – è un tutt’uno che in qualche maniera cura. In realtà è una cura che riguarda noi tutti e che ci fa fare questa domanda: “chi include chi?”.

Sostieni il Naga, adesso.

Il tuo sostegno, la nostra indipendenza.