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I luoghi e le Persone – Storie di ordinario razzismo

Non saremo liberi finché non saremo liberi tutti e tutte

Parchi, cespugli, sottopassi, eleganti porticati in pieno centro città. Non siamo solo a Milano. Potremmo essere a Roma, a Palermo, a Napoli. Dove non importa. Luoghi di città cariche di storia, visitate da persone provenienti da tutto il mondo. Ed ecco, per terra, coperte lasciate a prendere il sole in attesa di essere usate la prossima notte. Ora fa caldo basta buttarcisi sopra o usarle per coprirsi gli occhi e ripararsi dalla troppa luce nelle prime ore del giorno. Qualche traccia di vita. Un sacchetto con qualche indumento. Uno spazzolino da denti. Li vedo, li vediamo, perché sono lì? È la storia di Omar, ma anche di tanti altri, venuti in Italia alcuni anni fa in cerca di un porto sicuro in cui trovare rifugio, scappando dall’intolleranza e dal razzismo imperante nel proprio paese. È anche la storia di Ana, badante amorevole di un vedovo in un paesino dell’hinterland milanese, i cui documenti riportano ancora il suo nome di nascita, Roberto. Una tenera storia di affetto si intreccia tra Ana e Silvano, l’uomo di cui si prende cura, ma poco prima di regolarizzare la loro relazione, (“perché sì, Silvano voleva sposarmi”, afferma con sicurezza) un colpo al cuore pone fine alla vita di Silvano e ai progetti e alle aspettative per Ana di una vita migliore. Nulla servirà a convincere i figli di Silvano – grati ad Ana per l’aiuto finché il padre era in vita – a permetterle di rientrare nella casistica, ancorché strettissima, dei possibili beneficiari della sanatoria. Ana non serve più, quindi può andare a finire in mezzo a una strada. La ritroviamo al Naga, disperata, senza più un tetto sopra la testa, ma determinata a non tornare nel suo paese di origine, perché l’essere transgender le impedisce lì una vita dignitosa. Forse le impedisce anche solo una vita. Rimanere in Italia è comunque per lei meglio. Ce la farà. Qui non è come là… 

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