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Intervista – Video intervista a Gianfranco Schiavone

Estratto dell’Intervista

(Su YouTube è disponibile l’intervista completa)

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Covid, accoglienza e timide riforme 

BITOSSI: Gianfranco Schiavone è il presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. Visto il momento che stiamo vivendo, relativamente all’accoglienza dei migranti il primo tema che vorremmo toccare è proprio quello della pandemia, e di quale sia stato il suo impatto, secondo te, sui centri di accoglienza.

SCHIAVONE: Questa vicenda è una vicenda molto triste perché dobbiamo guardarla dal punto di vista strutturale, cioè non da quello che una singola struttura, un singolo centro, fa bene o male nei limiti delle sue possibilità. Il problema è strutturale nel senso che negli ultimi due anni, dalla riforma appunto della normativa sull’asilo e sull’accoglienza, quindi dai decreti Salvini del 5 ottobre del 2018, è iniziata una vera e propria catastrofe della storia dell’accoglienza in Italia. Buona parte del sistema di cosiddetta “accoglienza diffusa” è stato smantellato. Per quanto riguarda i Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS, sono cessate quasi tutte le esperienze positive che volevano a mano a mano farli assomigliare al sistema Sprar per venire poi assorbiti in questo sistema. Queste realtà hanno ceduto sotto il peso della nuova norma e dei tagli forsennati voluti da quella norma. Quindi cosa è avvenuto? Nei nuovi capitolati del 2018 e del 2019 è avvenuto che sono rimaste in piedi, salvo rare eccezioni, soltanto strutture collettive di medio – grandi dimensioni e per di più con servizi ridotti all’osso. Sostanzialmente depositi di persone, senza assistenza di alcun tipo, esattamente il luogo perfetto per la diffusione del virus. Quindi si è trattato di una catastrofe annunciata per così dire, certo non potevamo sapere nel 2019 che ci sarebbe stata la pandemia, ma tutto il resto lo sapevamo. Sapevamo che queste erano strutture inidonee. Accanto a tutto questo va detto che, comunque, persino per quanto riguarda quelle idonee non è stato fatto praticamente nulla, perché oggi non abbiamo in Italia un piano per l’accoglienza ai tempi del Covid. Faccio un esempio di cosa intendo dire. Gli enti gestori di strutture di accoglienza diffusa si arrangiano come possono e se devono trasferire i casi di positivi asintomatici, che sono i casi più frequenti naturalmente, e isolarli, in realtà non hanno il posto dove metterli. Non sono stati autorizzati a prendere nuove strutture. Quindi gli enti volenterosi, ma su base volontaria, possono farlo o non farlo, prendono dei posti aggiuntivi a loro spese. Chi non lo fa, non lo fa. Punto. Praticamente il territorio è stato totalmente abbandonato a se stesso.

BITOSSI: Questo è purtroppo drammaticamente vero, lo constatiamo anche noi e mi chiedevo se, secondo te, con questi timidi tentativi di cambiamenti fatti dal decreto della Ministra degli Interni Lamorgese, qualche cosa stia cambiando.

SCHIAVONE: Usciamo dalla vicenda Covid, parliamo in generale. Sarebbe ingiusto dire che non c’è nessuna modifica o le modifiche siano puramente di basso profilo, perché effettivamente il decreto legge 130, che in questo momento è in discussione in Parlamento – mentre ora stiamo parlando (19 novembre scorso) sono in corso le sedute della Commissione Affari Costituzionali della Camera – di fatto ripristina il sistema precedente. Quindi lo Sprar ritorna a esistere anche se si chiama Sistema di Accoglienza e Integrazione – SAI, ma l’impostazione è appunto la stessa, con due modifiche, una positiva e una molto più discutibile. Quella positiva è che la nuova norma prevede che anche i Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS, non gli ex Sprar, debbano rispettare dei nuovi standard che saranno fissati con decreto del Ministro dell’Interno. Decreto che non c’è ancora, ovviamente, ma che la norma prevede. Dovranno essere garantiti e ripristinati i servizi di insegnamento della lingua italiana, nuovi servizi di sostegno psicologico, servizi per l’orientamento sociale. Tutte cose tagliate in questi anni. Poi non si esclude affatto, però questo è solo un auspicio, che il nuovo decreto stabilisca degli standard di gestione adeguati, quanto a rapporto operatore ospiti, quanto a qualifiche degli operatori, quanto a mediazione linguistica e culturale. In realtà il nuovo decreto ministeriale potrà avere impatti anche notevolissimi sul sistema se si vorrà “fare sul serio”.

BITOSSI: Lo Sprar era nato come centro di accoglienza per richiedenti asilo. Dopodiché aveva praticamente perso questa natura e oggi la riacquista e di nuovo li accoglie, ma il punto critico che mi segnalano gli enti gestori è proprio la gestione che comunque per questa tipologia è diversa da quella di chi ha avuto la protezione. Tu ne sai qualcosa?

SCHIAVONE: Infatti è proprio questa l’altra novità introdotta dal decreto legge 130 che mi lascia perplesso: la differenza di servizi tra richiedenti asilo e titolari di protezione. Allora questa modifica della norma, non nei primi mesi, ma a lungo termine, sostanzialmente taglia fuori i richiedenti asilo dall’accesso a misure quali l’avvio a corsi di formazione professionale, l’inserimento in borse lavoro, tirocini, tutto quello che riguarda l’inserimento lavorativo o pre-lavorativo, la formazione, parcheggiando le persone. Da questo punto di vista questa norma, se applicata in maniera rigida, potrebbe creare dei problemi. C’è un emendamento che è fortemente caldeggiato che prevede una misura ragionevole, cioè che, se la domanda di asilo non è esaminata entro sei mesi dalla presentazione della domanda, come ahimè fino ad adesso non lo è mai, il richiedente asilo accede anche ai servizi di cosiddetto secondo livello, cioè a quelli volti all’integrazione. Sembra ci sia la consapevolezza che questa disposizione è piuttosto discutibile e che rischi di creare dei parcheggi, di rallentare in pratica il percorso di integrazione.

BITOSSI: Non avevamo idea che ci fosse un emendamento a proposito e mi sembra molto interessante. Adesso volevo entrare su un tema che è molto spinoso. La presenza sempre più folta di persone che vivono per strada, senza fissa dimora, persone che hanno avuto una protezione o richiedenti asilo , persone che hanno quindi diritto ad avere un luogo dove poter vivere e dall’altra persone “diniegate” che non hanno più possibilità di accedere ad altri tipi di percorsi legali. Come vedi questo problema?

SCHIAVONE: Partiamo dal presupposto che generare disagio sociale non è stata una conseguenza indiretta dei decreti Salvini di questi ultimi due anni, ma è stato l’obiettivo di questi decreti, perché se non comprendiamo questo non comprendiamo nulla. Non siamo di fronte a un’incapacità palese di gestione o anche a una ideologia rozza e violenta che provoca poi degli effetti inediti in qualche modo collaterali. Siamo di fronte a una ideologia, sicuramente violenta, con la netta consapevolezza che decine di migliaia di persone non avrebbero più avuto posto. Si era perfettamente consapevoli che sarebbe aumentato l’ambito della irregolarità con l’eliminazione della protezione umanitaria. Si era perfettamente consapevoli che con l’abbassamento degli standard nei centri di accoglienza straordinaria le persone avrebbero avuto una vita peggiore, quindi anche un’integrazione sociale, sia presente che futura, molto peggiore. Ma lo scopo era proprio quello di far percepire al cittadino italiano che la presenza degli stranieri è un problema, perché il cittadino italiano che non si informa vede gli effetti, ma non vede le cause, non riesce a capire che quella situazione non è determinata dagli stranieri, ma è determinata da chi ha creato questa situazione volutamente. Detto questo, nel nuovo decreto non c’è una risposta univoca, però si dovrebbe andare a ridurre, almeno in parte, questa situazione su due fronti. Il primo, il ripristino della protezione umanitaria come noto, che non si chiama così, ma protezione speciale. Si ritorna a una situazione precedente in cui abbiamo una terza forma di protezione che, come sapete, viene allargata, questo è un aspetto di grande importanza. Viene allargata e modificata prevedendo l’accesso alla protezione speciale per coloro che dimostrano sostanzialmente una buona integrazione sociale in Italia. Quindi il principio del rispetto della vita privata e familiare viene sancito con la clausola di inespellibilità e appunto il diritto di accedere alla protezione speciale. Questa grande novità potrebbe aprire ulteriormente l’applicazione della vecchia protezione umanitaria anche a situazioni che erano molto incerte nel passato. C’era sempre stato un accesso alla protezione umanitaria per chi aveva dimostrato un percorso di inserimento, ma la giurisprudenza stessa era molto incerta e non consolidata. Adesso abbiamo una norma più ampia che, tra l’altro, non fa riferimento tanto alle condizioni gravi nel paese di origine quanto a quello che invece la persona ha costruito qui, insomma si aprono delle prospettive buone di aver meno persone senza un titolo di soggiorno e meno persone sulla strada. Si aprono condizioni buone anche per la possibilità di riesaminare tutte le domande rigettate, innanzitutto le domande pendenti di persone che hanno appunto un ricorso, ma per tanti motivi non hanno più l’accoglienza, e che possono vedersi riconosciuta la nuova forma di protezione e quindi tornare a essere titolare di un diritto, non solo di un diritto di soggiorno, ma anche del diritto di essere addirittura reinserite o inserite se non lo sono mai state nel nuovo SAI in quanto titolari di protezione speciale, ex umanitaria. Nuove domande verranno indirizzate al nuovo sistema di protezione che, ahimè, non avrà i posti sufficienti. Questo sarà il grande problema, l’allargamento del SAI sarà un grande problema. Però visto che vi è una nuova forma di protezione, ci sarà una revisione delle domande pendenti, e ci sarà anche una necessaria nuova procedura d’asilo per coloro che, pur non avendo mai fatto un ricorso perché non erano in grado di farlo o perché erano stati diciamo mal consigliati, ritengono di avere i requisiti per ottenere la protezione speciale. La loro domanda dovrà essere riesaminata attraverso una nuova procedura d’asilo, che non dovrà quindi essere soggetta alla procedura reiterata, perché più che nuovi elementi abbiamo una terza forma di protezione, come dicevo prima. Quindi la domanda deve essere rivista alla luce del cambiamento normativo. Si aprono delle strade reali dalle quali molti purtroppo verranno tagliati fuori per mancanza di posti, per mancanza di adeguata informazione, per ostruzionismo amministrativo, ma in realtà dovrebbero aprirsi molte possibilità e gli enti che fanno assistenza ai rifugiati, come il Naga, ma anche tutti gli enti che fanno assistenza e fanno accoglienza, dovranno essere molto preparati e molto pronti, perché, tra l’altro, il decreto legge è già in vigore, quindi tutto quello che sto dicendo si può cominciare a fare già adesso e sarà un periodo di super lavoro per reinserire le persone nei percorsi.

BITOSSI: Grazie. Gianfranco, poter pensare che molte situazioni possano essere riviste, come hai detto tu, è fondamentale. Diciamo sottende a questo nuovo decreto una strategia evidentemente molto diversa. Qual è la strategia, secondo te, che hanno voluto mettere in atto adesso? Cosa li ha spinti a fare questo tipo di operazione?

SCHIAVONE: Credo che sicuramente il nuovo decreto può essere visto un po’ come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di dove lo si voglia guardare. La parte piena è sicuramente quella di aver capito che il disastro prodotto dai decreti Salvini è stato talmente esteso e talmente tanti danni sono stati fatti che era necessario rimediare. Rimediare dal punto di vista dell’accoglienza delle persone e anche dal punto di vista del riconoscimento dei diritti fondamentali, attraverso il ripristino della terza forma di protezione. Devo dire che da questo punto di vista le cose sono andate persino leggermente meglio di quanto io mi aspettassi, il risultato non era scontato in un Governo molto fragile e molto incerto. La parte invece che non è stata rivista, se ne parla poco, ma va detta, perché getta un’ombra abbastanza problematica, non tanto sul presente quanto sull’immediato futuro è che l’attuale Esecutivo non ha voluto invece in alcun modo mettere mano a tutta quella pletora di procedure assolutamente poco garantiste, quali le procedure accelerate, le procedure di frontiera, il potenziale uso, anzi abuso, del trattenimento del richiedente asilo per effettuare l’identificazione, la norma che  ha previsto per l’appunto la indicazione dei paesi d’origine “sicuri”, quella che ha previsto l’introduzione delle cosiddette aree sicure all’interno del paese di origine. Insomma tutta una normativa introdotta anch’essa nel 2018, che però non si è voluto toccare, anche se posso affermare che le richieste in quella direzione sono state fatte e anche in modo piuttosto pressante. Quindi qui vediamo la volontà politica di mantenere una normativa per alcuni aspetti iper restrittiva. Questo lo considero sicuramente non accettabile e penso offuschi molto la parte positiva del decreto, e proprio per questo parlo di bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.

BITOSSI: Temo che il tempo sia andato oltre quello che volevamo, però c’è un ultimo punto che sintetizzo sulla questione di come la Questura di Milano, perché io conosco questa e non so altrove cosa succede, prenda delle iniziative “personali”non basandosi su quella che è la legislazione, su quello che è la legalità. Dei veri e propri abusi, nel senso che, per esempio, non viene data l’accoglienza nel momento della richiesta di asilo, ma viene data, (quando viene data) soltanto dopo la compilazione del C3, che significa che queste persone rimangono perlomeno per un mese, se non di più, per strada. Oppure, al rinnovo della sussidiaria viene richiesto il passaporto, così per fare un esempio a un eritreo o a una ragazza somala: “se no, noi la sussidiaria non te la rinnoviamo”. Gli eritrei e i somali (per citare solo due paesi) non andranno mai in ambasciata a richiedere il passaporto. E perché questo? Tutto viene lasciato al giudizio arbitrario del singolo funzionario.

SCHIAVONE: Si tratta di temi enormi, i due che hai toccato sono i principali, la situazione nelle città più grandi e nelle aree metropolitane è tendenzialmente peggiore per il semplice fatto che questo rallentamento del diritto di accesso all’accoglienza è utilizzato come una strategia di dissuasione all’arrivo delle persone nelle grandi aree metropolitane ed è una condizione abbastanza diffusa. Visto che, sul diritto all’accoglienza contestuale alla manifestazione della volontà di richiedere protezione internazionale o asilo che dir si voglia, la norma non è mai cambiata, l’abuso è un abuso delle Prefetture che devono disporre l’accoglienza, ma non la dispongono. Ci vedo essenzialmente una pratica di dissuasione per l’appunto. Questo avviene anche nei piccoli centri a volte perché le cattive prassi si diffondono molto velocemente: è più facile dire di no che organizzare un servizio. Poi si tratta di soggetti deboli che non hanno potere, ed è molto facile che le cattive prassi, anzi le illegalità si diffondano. L’altro aspetto, cioè la questione dei passaporti è legata al presumere che molte identità siano false. Sostenendo che siano molte le persone che non hanno quella identità o quella nazionalità, facendo saltare fuori il passaporto si fa saltare fuori la verità. Questo non è un modo per gestire le cose. Non contesto l’idea che ci siano delle situazioni così estese di non conformità o di illegalità, però sono di minimo valore. Il fatto che non ci sia una perfetta corrispondenza di nomi, di cognomi, di date di nascita non è certamente un reato. Non è certo un problema di sicurezza pubblica. Questo però comporta che poi la persona abbia a volte delle difficoltà enormi a reperire il passaporto. Tutto questo ostacola le persone che non possono avere il passaporto nazionale e che non sarebbero tenute ad averlo perché la normativa correttamente applicata prevede che là dove ci siano valide ragioni per non ottenere il passaporto nazionale, il titolo di viaggio sostitutivo debba essere rilasciato. Ecco lì c’è un’interpretazione iper restrittiva che viene ancorata a una problematica di ordine pubblico, interpretata in maniera eccessivamente estensiva provocando un disastro nella vita delle persone. Lì non vedo altra strada che l’aumento dei contenziosi – visto che l’amministrazione non sembra intenzionata a recedere – per consolidare una giurisprudenza che è ancora molto esile perché ci sono pochi contenziosi. Io temo che lì si debba chiarire che il diritto di avere il titolo di viaggio, anche per la protezione sussidiaria, vale in situazioni molto più estese di quelle che oggi la prassi amministrativa ritiene di riconoscere.

BITOSSI: Grazie, Gianfranco. Dobbiamo purtroppo chiudere.

SCHIAVONE: I temi erano molti e complicati, devo dire la verità!

BITOSSI: Sì, avremmo dovuto parlare molto di più, comunque avremo modo di rincontrarci sicuramente. Grazie mille.

SCHIAVONE: Grazie mille, grazie a tutti.



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