Notizie ,

I Luoghi e le Persone – Shabir

Il murales del gigante: tristezza, paura, orrore, forse rabbia.
Troppo poca.

Shabir è arrivato tanti anni fa in Italia. La sua storia si confonde con quella di tanti altri esuli afghani che sono venuti in Europa per trovare una vita migliore. La missione occidentale di “democratizzazione” del paese non l’ha fermato e con lui molti altri. Era molto giovane. Forse aveva l’età del ragazzo sedicenne dai grandi occhi celesti che abbiamo trovato, qualche mese fa, seduto con un suo amico ventenne sul piazzale della Stazione Centrale a gambe incrociate in attesa di trovare il momento giusto per rimettersi in viaggio verso Nord per raggiungere i suoi parenti. I due ragazzi avevano vissuto gli orrori della rotta balcanica. Sfiancati da ore di marcia e dalle lunghe attese per poter procedere. Il ragazzo dagli occhi chiari sprizzava gioia e energia da tutti i pori. Aveva voglia di chiacchierare con noi, sapeva bene l’inglese e, grazie a questo,  parlava come un fiume in piena. L’altro ci guardava muto senza capire nulla.

Sì, l’età era la stessa e da allora Shabir è rimasto qui, dopo aver ottenuto l’asilo, tornando ogni tanto a Kabul a trovare la moglie e la figlioletta, ormai dodicenne e lasciando ogni volta un ricordo. Di figli ormai ce ne sono altri tre. Qui lavorava in un ristorante e durante il covid, avendo perso il lavoro, si è messo a fare il rider da Glovo. La sua faccia è incredibilmente serena, tranquilla, pur parlandomi della situazione nel suo paese con evidente preoccupazione. Vuole che la sua famiglia si ricongiunga a lui e venga in Italia. Come fare? Si affida a noi dello sportello, fiducioso. L’ambasciata italiana a Kabul è vuota. Non c’è più nessuno, siamo scappati senza pensarci un momento. Quindi meglio appoggiarsi alla nostra ambasciata in Pakistan. Gli propongo una fuga della sua famiglia in Pakistan. Mi fa cenno di sì, si farà aiutare da un cugino. Sa già quale punto del confine far loro percorrere senza troppi pericoli. Viene a bere un po’ di tè e mi vuol far vedere la sua famiglia. Immagino mi faccia vedere delle foto, invece telefona alla moglie. Ed eccola lì con il suo bel viso dolce e sorridente in questa casa a Kabul, insieme a sua madre e ai figli che continuano a salutarmi agitando le manine ridendo. Sono a Kabul, intorno a loro c’è l’inferno. Qualche giorno dopo torna per aggiornarmi. I suoi sono partiti. Non li sente da due giorni, ma continua a essere sereno. Sono probabilmente all’altezza di un valico in montagna vicino al confine. Lo hanno raggiunto a cavallo. Li sentirà presto. Aspetto anche io con ansia notizie…

Sostieni il Naga, adesso.

Il tuo sostegno, la nostra indipendenza.