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I Luoghi e le Persone – Meglio sapere che la realtà esiste


Un vetro colorato a pezzi. Provo a guardarci attraverso, ma non riesco bene. Trovo sempre le finestre chiuse. Da dentro. Io sono sempre fuori.


Meglio sapere che la realtà esiste

Cosa fa più male, cosa fa allontanare le persone? Il colore della pelle o la povertà, il segno tangibile dell’essere senza nulla, senza neppure un tetto sopra la testa? Tutto ciò fa paura, respinge, voltiamo la testa dall’altra parte perché ci fa sentire impotenti, ci mette in ansia, ci porta a fare i conti con la diversità. Forse è un disagio simile a quello che proviamo di fronte a due uomini che si danno un bacio appassionato, in un caldo abbraccio, a un angolo di strada, o due donne che sul metrò si cercano con gli occhi e si scambiano effusioni. Cosa facciamo? Distogliamo lo sguardo imbarazzati. Fino a che non riusciremo a guardare tutto questo come qualcosa di reale, non riusciremo ad affrontarlo.

Eravamo in sede per un seminario del nostro gruppo Har. Due giorni intensi, appassionati, tutti impegnati a studiare il “che fare” per cambiare le leggi inique che regolano le migrazioni. Pausa caffè. Esco a prendere aria e mi trovo davanti un giovane pakistano, o forse afghano, non so e non glielo chiedo, colpita dal suo braccio destro ingessato, dal polso sinistro fasciato e dal grosso zaino che porta sulle spalle e dalla bellezza del suo viso e dei suoi occhi tristi. Non voleva un medico (l’ambulatorio era chiuso, d’altronde era sabato) voleva un letto dove dormire, una doccia, un posto dove mangiare. Ma era sabato… Il centro aiuto era chiuso, dove mandarlo? Dove rivolgersi per una emergenza? Quale emergenza? Questa è la normalità, la realtà che non vogliamo vedere. Non vogliamo accettarla e affrontarla, ma ci giriamo dall’altra parte.

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