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Intervista – Video intervista a Nadeesha Uyangoda

Nadeesha Uyangoda, autrice, scrittrice e podcaster

Come iniziare a vedere i colori

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Marta Pepe: Ciao Nadeesha, siamo collegati per questa video intervista per la NewsletterFuorivista del gruppo Osservatorio del Naga . Ti lascio subito la parola e ti chiedo di presentarti. 

Nadeesha Uyangoda: Ciao a tutte e a tutti, io sono Nadeesha Uyangoda, sono un’autrice, sono una scrittrice e in particolare il mio primo libro si intitola L’unica persona nera nella stanza, uscito nel marzo del 2021 per l’editore 66thand2nd e sono anche una podcaster. Ho ideato per esempio il podcast sulla razza (https://www.sullarazza.it/) che è un podcast che traduce parole e concetti dal contesto angloamericano al contesto italiano. Sono un’autrice che si occupa di tematiche come la migrazione, il concetto di razza e i processi di razzializzazione.

M: Grazie. Andiamo a bomba sul tema centrale, tema che a volte si ritiene superato, se ne parla poco, c’è una sorta di tabù nel parlarne. Però è un tema che ha dei risvolti molto interessanti dal punto di vista teorico e soprattutto molto importanti dal punto di vista pratico rispetto a quelle che sono le conseguenze sui diritti e sulla vita delle persone. Ti chiederei in modo molto semplice che cosa significa essere nel 2022, in questo occidente in cui ci troviamo, una donna o un uomo razzializzato?

N: da un punto di vista del termine, della parola, per me una persona razzializzata è una persona che subisce il concetto di razza, un concetto che in Italia e più in generale nell’Europa continentale è trascurato, perché si ritiene superato, perché da un punto di vista genetico, scientifico la razza è stato un concetto a più riprese smentito. Però il termine razza, dal punto di vista sociologico, continua a permeare la nostra società e continua a influenzare la vita, l’esperienza e soprattutto la morte di soggetti che subiscono questo concetto, quindi soggetti razzializzati. Essere un soggetto razzializzato significa essere parte di una dinamica di potere e subire una dinamica di potere. I soggetti razzializzati in Italia non vengono riconosciuti per esempio come cittadini dalla percezione comune, pubblica. La propaganda politica o i media tendono a dipingerli in maniera stereotipata, a connotarli in maniera anche offensiva talvolta. I soggetti razzializzati a un livello più globale sono vittime di dinamiche economiche che tendono a escludere questi soggetti dall’accesso a risorse e opportunità più grandi. Questo significa per me essere un soggetto razzializzato.

M: la razziazializzazione è funzionale alla nostra società? È un una domanda retorica ma secondo me vale la pena chiarire bene qual è la visione del mondo che sostiene? Cosa c’è dietro?

N: questa è una domanda molto interessante. Ho appena scritto la prefazione al libro di un’autrice australiana che appunto analizza l’intersezione tra il concetto di razza e il concetto di genere e nel fare questo fa anche un excursus storico. A un certo punto scrive che il mondo occidentale è passato dal considerare le donne, per esempio quelle provenienti dal Nord d’Africa o dal Medio Oriente, donne velate, iper sessualizzate per certi versi, in contrapposizione con le donne in Occidente, caste, pure, donne vergini. Invece le donne mediorientali con questi veli, con questi capelli, con questa estetica erano iper sessualizzate. Siamo passati da questa idea di femminilità a un’idea di femminilità orientale, medio orientale sottomessa dagli uomini. Lei, facendo questo paragone, questo excursus storico, ci fa capire che il processo di razzializzazione e il concetto stesso di razza non servono ad altro che a dominare qualcos’altro, a dominare economicamente un popolo, una parte del mondo. Deve essere sempre funzionale al dominio. A questo proposito mi vengono in mente anche le parole di un’altra scrittrice che dice che il razzismo non è mai logico, il concetto di razza non è logico, è utile però, è utile per dominare una fetta del mondo. Il razzismo non è logico, non è comprensibile sotto certi punti di vista però è funzionale per sottomettere. Penso che il razzismo e il concetto di razza abbiano continuamente mutato nel tempo e nello spazio. A un certo punto con i processi economici, con il capitalismo, il razzismo è mutato ancora una volta. Per esempio a un certo punto venivano portati gli schiavi africani attraverso le rotte che dal continente africano arrivavano nel resto del mondo e soprattutto verso gli Stati Uniti e lì venivano utilizzati come capitale umano. Poi a un certo punto hanno scoperto che questi uomini avevano un valore anche in termini di denaro, potevano essere venduti, potevano essere scambiati, potevano essere uccisi. Con la segregazione e successivamente con la fine della segregazione non era più possibile sfruttare da un punto di vista economico i corpi dei soggetti razzializzati, i corpi degli ex schiavi, allora queste persone sono entrate a far parte di un modello economico che comunque tendeva a sfruttare i soggetti razzializzati o soggetti provenienti dal cosiddetto Sud globale. Pensiamo per esempio alla cosiddetta economia dell’affetto globale, per cui ci sono delle persone provenienti dal Sud globale, soprattutto donne, che vengono nel Nord globale e vengono pagate per prendersi cura dei bambini e degli anziani, qualcosa di cui le donne del Nord globale non possono più occuparsi. Un’altra scrittrice, Sarah Jaffe, che ha scritto un libro che cerca di mettere insieme il concetto di razza e il concetto di lavoro, Il lavoro non ti ama. O di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli, dice che quando gli schiavisti si sono accorti di non poter più ottenere un guadagno dai corpi degli schiavi senza dar loro qualcosa in cambio hanno deciso di sfruttare comunque questi corpi relegandoli a lavori umili, a lavori domestici…questo pattern si è un po’ mantenuto nel tempo.

M: adesso ti chiedo di parlarci di un altro argomento che a me sta molto a cuore e su cui ho riflettuto molto negli ultimi due anni: la consapevolezza del proprio posizionamento e del privilegio di cui si è portatori. Leggendo un saggio molto bello sul femminismo decoloniale, ho letto un passo di Gloria Wekker, tratto dal suo White Innocence Paradoxes of colonialism and race, dove scrive che è praticamente impossibile far riconoscere a una persona bianca che è bianca, “Se glielo dite è sconvolta, aggressiva, inorridita, praticamente in lacrime”. Si tratta di razzismo al contrario?

N: una scrittrice, Ruby Hamad ha scritto questo testo White tears Browns scars, lacrime bianche, cicatrici/ferite marroni, nere… e anche lei parla proprio di questo, delle lacrime bianche. Secondo lei, ma anche nell’esperienza più comune dei soggetti razzializzati, la risposta delle persone bianche, delle donne bianche quando si trovano a confrontarsi con donne nere sul loro razzismo – lo dicono in realtà anche altre autrici, altre saggiste, come Robin Jeanne Di Angelo, Reni Eddo-Lodge, Ijeoma Oluo – è sempre un ritirarsi da un’accusa, l’avere paura di essere accusate di razzismo, più che preoccuparsi del razzismo che hanno praticato. È una reazione così comune che Ruby Hamad ha scritto appunto questo libro.
Io nel mio libro, L’Unica persona nera nella stanza, dico che non esiste oggi il razzismo al contrario, soprattutto nel 2022, soprattutto nella nostra società. C’è stato per esempio nei confronti degli italiani, italiani del Sud migrati negli Stati Uniti, quindi in un preciso contesto storico, sociale e geografico una sorta di razzismo al contrario. Oggi ci sono delle persone in occidente che vengono percepite come socialmente bianche, questa percezione comune della loro bianchezza fa sì che loro si portino dietro, anche loro malgrado, una serie di privilegi, una serie di posizionamenti rispetto al colore della loro pelle, rispetto alla loro cultura, alla lingua che parlano, a come vengono percepite e quindi il razzismo nei loro confronti non esiste. Poi da un punto di vista nazionale, di relazioni tra popoli diversi, possiamo parlare di altri termini, possiamo definire questo odio con altri termini, possiamo parlare di xenofobia, possiamo parlare di discriminazioni più in generale, di stereotipi nazionali, ma non possiamo parlare di razzismo, tant’è che utilizziamo questa parola “razzismo” per connotare proprio le discriminazioni sulla base della razza, per tutte le altre utilizziamo genericamente discriminazione. La razza è una discriminazione molto specifica. Per me il razzismo al contrario è qualcosa che non esiste ma è un’espressione che viene utilizzata semplicemente per la paura quasi di essere razzisti, o a volte per non confrontarsi con il proprio razzismo interiorizzato e per continuare a restare dove si è, per continuare a restare nel proprio privilegio e non doversi confrontare né con la storia del proprio privilegio né con ciò che il proprio privilegio ancora oggi causa ai soggetti che sono razzializzati.

M: sarebbe molto interessante concentrarsi proprio sulle conseguenze…

N: sì, perché è come se da parte delle persone bianche non ci fosse consapevolezza di ciò che il proprio privilegio ha causato da un punto di vista storico e causa anche nella contemporaneità. Questo a partire proprio dal colore della pelle. Per esempio, abbiamo utilizzato e utilizziamo tutt’ora i termini “di colore” per definire i soggetti “neri”, i soggetti razzializzati, e questo utilizzo dei termini “di colore” da parte delle persone bianche va a connotare la nerezza come un colore, come qualcosa che va a deviare dallo standard, mentre la bianchezza non è un colore, la bianchezza è uno standard, è naturale. Questo utilizzare i termini di colore è anche dire che la nerezza è qualcosa di strano mentre la bianchezza è la normalità ed è anche dire che essere bianchi non è essere razzializzati, è la normalità, è ciò che la natura ci ha dato, mentre la nerezza è la deviazione di questo concetto di naturale, di standard. Così facendo i soggetti bianchi dicono che soltanto la nerezza è una costruzione razziale, una costruzione sociale ma in realtà esattamente come la nerezza anche la bianchezza è una costruzione e da qui dobbiamo partire per parlare di razza. Dire che la costruzione di un concetto, quello della nerezza, è stato sfruttato per sottomettere dei popoli. Mentre la costruzione di un altro concetto, la bianchezza, è stato sfruttato per dominare.

M: In un periodo storico in cui da una parte non si fa che parlare di difesa dei diritti (dei più deboli, degli emarginati, delle donne, della comunità LGBT, delle persone di colore, ecc. ecc.) e dall’altra non si fa che calpestarli continuamente, mi sembra che siamo dentro un paradosso da cui fatichiamo a uscire. Un’elaborazione reale e profonda da un punto di vista culturale di questi temi non mi sembra sia stata mai fatta seriamente. Non credi che dovremmo avviare un processo in questo senso, partendo da interventi nelle scuole, nei centri aggregativi di vario genere e tipo?

N: la premessa è che siamo in un periodo storico e politico complesso per fare questo, molto difficile, anche alla vigilia delle prossime elezioni. Detto questo, c’è sicuramente un problema, a mio parere, a livello scolastico nell’affrontare la questione razziale, considerando che abbiamo delle scuole, da un decennio a questa parte, sempre più multietniche, multiculturali, eppure ci troviamo davanti una scuola che non è in grado di affrontare questa multiculturalità e multietnicità, da un punto di vista linguistico, da un punto di vista formativo, pedagogico, perché, e io parlo per Milano, per la Lombardia che è la realtà che mi è più vicina, si creano queste scuole cosiddette di frontiera, scuole e classi ghetto in cui l’apparato scolastico non è in grado di affrontare le difficoltà che porta la multiculturalità in un contesto educativo e di istruzione. Poi accanto a questo ci sono una serie di problematicità più grandi, della società in generale e da un punto di vista politico che non dà l’indirizzo alla scuola su come comportarsi. Oppure c’è un problema da un punto di vista culturale, per cui ogni anno scoppia il caso dell’antologia che contiene la scenetta razzista, la scenetta stereotipata tra due bambini, oppure si creano problemi da parte della narrazione mediatica, come i giornali, la televisione, come l’opinione pubblica va a connotare le scuole, le classi formate da soggetti multietnici, da bambini provenienti da diverse aree geografiche o con genitori provenienti da diverse aree geografiche. Sicuramente per formare cittadini del domani e quindi per avviare una conversazione sulla questione razziale bisogna cominciare dalla scuola perché è il luogo deputato a fare questo. Per esempio, penso alla storia coloniale, il primo passo per parlare, raccontare della storia coloniale italiana nel Corno d’Africa, per cercare di affrontare il razzismo di oggi e questo secondo me è imprescindibile. Però è davvero difficilissimo parlare di questo senza tener conto di quello che sta succedendo nel mondo politico, istituzionale, del grosso cambiamento a cui probabilmente andremo incontro perché tutte queste speranze e desideri che abbiamo per il futuro, per avviare una conversazione sulla razza, verranno sicuramente stoppati nel momento in cui l’apparato politico e istituzionale va in un’altra direzione, più estrema, di estrema destra.



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