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Il Naga si racconta – Lo Sportello Legale

Sportello Legale

La difesa dei diritti: un percorso a ostacoli sempre più difficile

Le volontarie e i volontari del servizio forniscono assistenza legale gratuita alle cittadine e ai cittadini che hanno ricevuto provvedimenti di espulsione, trattenimento, diniego del permesso di soggiorno e di asilo.

Le numerose modifiche legislative avvenute a partire dal decreto Piantedosi, promulgato subito dopo la strage di Cutro nel marzo 2023, hanno avuto un forte impatto sull’attività dello Sportello legale nell’ultimo anno. Abbiamo dovuto constatare un aumento considerevole del flusso di persone alla ricerca di una soluzione per rimediare agli effetti dei continui interventi del legislatore volti, quasi esclusivamente, a restringere le possibilità per le persone migranti di regolarizzare o stabilizzare la propria presenza sul territorio italiano. Agli effetti, già dirompenti, di queste restrizioni si sono aggiunti gli ulteriori ostacoli costituiti dalle carenze organizzative e tecniche degli uffici immigrazione delle Questure che impediscono la fruizione di molti diritti non solo a chi si ritroverà senza un titolo di soggiorno in corso di validità, ma anche a tutte le persone a cui è già stato riconosciuto lo status giuridico necessario. Queste si sommano all’ostruzionismo amministrativo generato da interpretazioni, spesso illegittime e ulteriormente restrittive, delle nuove norme.

Riguardo gli ostacoli tecnici-organizzativi, la cui frequenza sembra raccontare un disegno sistematico, riportiamo un paio di esempi, scelti non per la loro significatività o particolare scandalosità ma gli ultimi due casi che ci siamo trovati ad affrontare. Entrambi rappresentano problematiche ricorrenti, più volte segnalate, senza che le dettagliate comunicazioni inviate abbiano avuto riscontro in un miglioramento della situazione.

Il primo riguarda un appuntamento richiesto per la conversione di un permesso per studio in permesso per lavoro, richiesto il 9 maggio 2024 e concesso il 7 giugno del 2025. Per questo periodo, la persona rimane regolare sul territorio ma si ritrova ad avere in mano una semplice ricevuta che, solo in teoria, permette di accedere agli stessi diritti di una persona titolare di permesso di soggiorno. Per le Questure italiane, quella di Piacenza in questo caso, mantenere una persona in questo limbo, per oltre un anno, rappresenta la normalità.

Il secondo si riferisce all’indisponibilità di appuntamenti su Prenotafacile, il portale che la Polizia di Stato mette a disposizione come unico canale per prendere una serie di appuntamenti per il rilascio di molte tipologie di permesso di soggiorno. Da alcune settimane non è possibile richiedere il permesso per apolidia se non scrivendo una delle tante PEC che indirizziamo all’Ufficio Immigrazione della Questura competente per segnalare i disservizi del portale. Nel tempo discrezionale che la Questura ritiene lecito prendersi per inviare una risposta, la persona rimane del tutto impossibilitata ad accedere a qualsiasi servizio dello Stato che, riconoscendole lo status di apolide, si è preso in carico la tutela dei suoi diritti, dopo anni di contenzioso amministrativo e giurisdizionale.

Le resistenze amministrative, invece, riguardano l’interpretazione della nuova disciplina a cui sono soggetti i rilasci dei permessi di soggiorni modificati dai numerosi interventi legislativi di cui si accennava all’inizio. Le amministrazioni afferenti al Ministero dell’Interno, sia a livello centrale che locale, tendono a restringere ulteriormente l’interpretazione delle norme inserite nel corso dell’ultimo anno. Norme che, sulla scorta della politiche volte alla “lotta contro l’immigrazione irregolare”, hanno creato un sistema nel quale il diritto d’asilo è stato ulteriormente svuotato e le possibilità di regolarizzazione o stabilizzazione, già scarse, sono state gravemente ridotte creando le condizioni per la caduta nell’irregolarità di un numero rilevantissimo di persone. Nella loro applicazione, le amministrazioni hanno fatto ulteriori passi avanti in questa direzione. Un esempio sono le norme transitorie, che avrebbero dovuto regolare il passaggio dal vecchio regime relativo alla protezione speciale a quello corrente: per oltre un anno sono state ignorate dal Ministero e, su input di circolari provenienti dal Ministero stesso, anche dalle Questure.

Anche su questo tema condividiamo qualche esempio per rendere conto di quanto il lavoro dello Sportello legale si sia dovuto concentrare, oltre che nello studio e nell’attuazione di strategie atte a porre rimedio agli effetti dell’intervento legislativo, anche a contrapporsi a prassi, non giustificate dalle norme, volte a ridurre drasticamente la possibilità di ottenere o mantenere un titolo di soggiorno valido in Italia.

Il permesso per cure mediche viene rilasciato a chi versa in condizioni di particolare gravità non curabili nel Paese d’origine, viene rilasciato per un massimo di un anno e “per il tempo attestato dalla certificazione sanitaria”. Salvo per esempio che ci si trovi davanti ad avvisi di rigetto della domanda perché il medico certificante non ha specificato il periodo necessario alle cure di una malattia cronica che, per sua natura, non ha un tempo di scadenza. Prima dell’intervento legislativo inserito nel dl Piantedosi (20/2023), che ha ristretto i criteri con cui deve essere valutata la gravità della malattia che dà diritto al permesso, non ci era mai capitato di incontrare un’obiezione di questo genere, che appare del tutto irrazionale. Si tratta di uno solo dei molti esempi di risposte, arrivate principalmente dagli Uffici Immigrazione delle Questure, che sembrano determinate da una stretta ulteriore a quanto previsto dalle norme approfittando del periodo (spesso anni) in cui una nuova normativa provoca delle incertezze interpretative risolvibili a livello giurisdizionale solo con il tempo necessario perché la giurisprudenza si accumuli e consolidi.

O come accaduto di recente riguardo al regime transitorio previsto per la conversione dei permessi di protezione speciale già rilasciati, o in via di rilascio, quando è stata promulgata la legge di conversione del dl 20/2023 che ne ha stabilito la non convertibilità. Il Ministero solo il 31 maggio ha diramato una circolare che dava un’interpretazione corretta delle norme che per un anno intero era stata applicata scorrettamente, portando a un contenzioso giudiziario che aveva costantemente dato torto al Ministero nella sua prassi di negare sistematicamente la conversione in lavoro dei permessi in scadenza. La speranza è che questo intervento tardivo (colpevolmente tardivo se si pensa a quante persone hanno rinunciato alla conversione del permesso nell’anno trascorso) possa, finalmente, indurre le Questure a provvedere riducendo, su almeno un fronte, l’altissimo livello di contenzioso giurisdizionale che sì è attivato.

Contenzioso motivato dalle ragioni sovraesposte, che spesso costringe chi opera allo Sportello legale a rivolgersi all’intervento di un legale anche per questioni che sarebbero risolvibili per via stragiudiziale. O, piuttosto, non avrebbero dovuto nemmeno essere poste da un’amministrazione che dà l’impressione, come sostenuto sopra, di sovraestendere il significato di norme già gravemente punitive nei confronti delle persone migranti.

Tante norme, che di per sé stesse più che essere uno strumento di contrasto all’immigrazione irregolare, sono una dichiarazione di guerra rispetto al principio della libertà di movimento e a quello di poter stabilizzare il proprio diritto a rimanere nel luogo dove si è scelto di fermarsi.

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