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Intervista – Matteo Villa

Matteo Villa
Ricercatore presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI)

Un sano pragmatismo vincerà sulle ideologie

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Davide Fracasso: Benvenuti a tutti e tutte in questa nuova videointervista di Fuorivista, la newsletter del Naga. Oggi abbiamo con noi Matteo Villa, ricercatore ISPI. Benvenuto Matteo.

Matteo Villa: Ciao a tutti e tutte.

DF: Vorremmo parlare del patto europeo sull’immigrazione, un patto che nasce da lontano e cercheremo di capire che cosa c’è dentro e quali potrebbero essere le conseguenze. Intanto ti chiediamo di presentarti.

MV: Io sono ricercatore in ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Da tanto tempo parlo spesso di migrazione, e sostanzialmente seguo quello che succede nel Mediterraneo e le politiche europee. È il momento giusto per parlarne dopo, come diceva Davide, dieci anni che parliamo di riforme che poi naufragano e poi quando arrivano invece sono problematiche, a dirla in maniera diplomatica.

DF: Ok, grazie. Allora partirei subito, chiedendoti un po’ che cosa c’è dentro questo pot europeo, che in Italia mi sembra sia stato per lo più criticato da più o meno tutte le posizioni politiche, soprattutto dal governo. Insomma, quali sono le novità più importanti?

MV: Partirei, direi,dal concetto di solidarietà, quella che tocca i paesi e la politica più che il richiedente asilo e i migranti in particolare. Poi se vuoi andiamo sulla parte più importante, quella delle persone. Però sulla solidarietà sapete che c’è sempre stata questa recriminazione da parte italiana sulle regole di Dublino. Le regole di Dublino dicono sostanzialmente che le persone che sbarcano dal mare quando fanno richiesta d’asilo diventano di responsabilità del paese in cui sbarcano, non sono proprio così in realtà le regole, ma diciamo che in sostanza finisce che sono così. Si sbarca in Italia, in Spagna o in Grecia, quindi sono l’Italia, la Spagna o la Grecia che dovrebbero processare le richieste d’asilo. Se le regole di Dublino funzionassero, sarebbero veramente un problema, diciamo, per Italia, Spagna e Grecia, perché metterebbero tutto il carico, dell’accoglienza, non solo la prima accoglienza, ma poi anche la seconda, della valutazione delle richieste d’asilo a noi. E proprio per questo, facendo un po’ finta, che le regole di Dublino veramente funzionino, l’Italia, come anche la Grecia e la Spagna, hanno sempre detto che vanno cambiate; ci vuole solidarietà tra i paesi europei e quindi facciamo quelli che si chiamano ricollocamenti, cioè voi, paesi europei che non siete di primo ingresso, ci aiutate prendendovi queste richieste di asilo che sono sbarcate da noi e le processate voi. Quindi in teoria questo nuovo patto andrebbe in quella direzione, cioè stabilisce delle regole leggermente diverse. Restano le regole di Dublino, però in situazioni ordinarie, in quelle di crisi, almeno 30.000 persone all’anno tra le persone sbarcate dovrebbero essere ricollocate in altri paesi europei. Detto questo, in realtà i cambiamenti sono minimi, perché, tanto per darvi un numero, l’anno scorso tra Italia, Grecia e Spagna sono sbarcate quasi 300.000 persone, 30.000 sarebbe il 10%, se davvero fossero ricollocate. La realtà è gli altri paesi possono dire, invece di ricollocare pago. Quindi, per esempio, se tu non vuoi una persona, paghi 20.000 euro in un fondo europeo per persona e quella persona non verrà ricollocata da te, stai soltanto finanziando l’accoglienza. Devo dirvi la verità, se così accadrà va bene per l’Italia perché 20.000 euro consentono, come sapete bene, l’accoglienza per ben più di un anno per ciascuna persona, ovviamente non per un minore, ma per le persone, diciamo, maggiorenni sì. Poi in realtà già alcuni paesi europei tipo l’Ungheria e la Polonia hanno detto col cavolo che vi diamo anche solo 20.000 euro a migrante, non prendiamo nessuno. Quindi ci si prepara allo scontro, malgrado le regole siano cambiate poco. Inoltre, fammi aggiungere l’ultima cosa per poi passare ad altro, la realtà è che le regole di Dublino non funzionano e questo avvantaggia l’Italia. Perché, tanto per darvi un altro numero, negli ultimi dieci anni in Italia sono sbarcate 1.100.000 persone. Noi di ISPI stimiamo che di queste, 700.000 circa siano già fuori dell’Italia, oggi. Sono circa 350.000, quindi la metà, quelle beccate sul territorio di altri paesi europei. Sono state intercettate perché hanno fatto richiesta d’asilo e si è capito che erano entrate dall’Italia. Tra le 350.000 trovate, l’Italia se n’è ripresa solo 30.000, quindi come vedete un numero piccolissimo, cioè solo il 5% delle persone che sono andate fuori dall’Italia sono poi ritornate in Italia e sono state dublinate, come si dice in gergo, come saprete. Perché così? Il motivo è che ci sono degli ottimi metodi per evitare che le regole di Dublino vengano applicate. Uno di questi è che le regole di Dublino oggi, prima della riforma, contenevano un ottimo stratagemma che pochi ricordano, che dice che se una persona che è sbarcata in Italia, va in Francia, e qui fa richiesta di asilo, la Francia dice all’Italia: riprenditela. Se quella persona poi non viene riportata in Italia entro 18 mesi, diventa di competenza della Francia. E questa ottima regola, perché altrimenti una persona resta in un limbo per sempre, veniva sfruttata dall’Italia per fare il minimo di trasferimenti possibili finché non passavano 18 mesi, ma non solo. La persona migrante stessa aveva un incentivo a nascondersi per 18 mesi. E poi dire, “ciao, sono ancora in Francia. processatemi voi”. Finiva così di solito, quindi la stragrande maggioranza delle persone restano nel paese in cui arrivano in Europa già prima. Quando l’Italia si lamenta di essere penalizzata è una cavolata, basta andare a vedere il numero di rifugiati pro capite che c’è in Italia per scoprire che siamo ai livelli più bassi d’Europa, non i più alti. I più alti sono in Germania tra i grandi paesi europei. Nei Paesi Bassi, in Svezia, non in Italia. In Italia il numero di rifugiati pro capite è non lontano da quelli ungheresi. Siamo tra i più bassi in Europa, non tra i più alti. Quindi quando ci lamentiamo e chiediamo la riforma del Regolamento di Dublino, dovremmo stare attenti, e chiudendo su questo, di fatto l’Italia si è legata le mani, perché le regole nuove sono un po’ peggiorate, no? Cioè sostanzialmente gli altri paesi hanno capito che l’Italia fa questo giochino e hanno aumentato il periodo per il quale si può rimandare indietro il richiedente asilo a tre anni, non a 18 mesi, prima che diventi di competenza, per esempio, della Francia. E questo ovviamente non è una cosa buona per l’Italia e neanche per il migrante stesso che magari vuole rimanere in un altro paese. Insomma, questa è un po’ la questione solidarietà.

DF: Diciamo quindi che c’era una legge che non funzionava, che non rispettavamo e questa legge tendenzialmente cambierà di poco. Però ecco, ti chiedo, ci sono più di 160 organizzazioni, tra cui appunto Amnesty International, Human Rights Watch, International Rescue, che dicono che in realtà questo pacchetto di riforme farà retrocedere di decenni la legislazione europea. Ecco, il suo esito più probabile, dicono loro, sarà un aumento della sofferenza umana in ogni parte del viaggio, che ormai abbiamo imparato a conoscere. Ora ti chiedo, come mai c’è questa denuncia delle organizzazioni che difendono i diritti umani?

MV: Partiamo dall’interno. Quindi sempre dall’Europa. Un’altra regola importante è questa, cioè le regole di asilo diventano più rigide, diventa più facile giudicare una domanda infondata, inammissibile e soprattutto poi si snelliscono le procedure per arrivare al diniego della protezione internazionale, quindi del diritto all’asilo. Quindi dall’interno è probabile che aumenteranno i dinieghi, quindi diminuiranno le protezioni per le persone che arrivano. Perché è un regresso? Perché la realtà è che noi sappiamo che molte persone che arrivavano irregolarmente da fuori Europa non si sarebbero qualificate per avere l’asilo. Soltanto una piccola parte, meno del 10% di persone ottiene lo status di rifugiato. Però l’Europa prevede altre protezioni, la protezione sussidiaria e quella, che una volta era in Italia l’umanitaria, e adesso è la protezione speciale, e altri status. Nel tempo un sacco di paesi hanno deciso di ridurre la possibilità con cui si accede a questi altri status. E l’Europa alla fine sembra oggi aver sancito questa cosa qui, che però è un grosso problema perché se è vero che le persone, magari nel resto del mondo non avrebbero mai ricevuto lo status di rifugiato, in Europa il livello di protezione era relativamente alto, almeno dal punto di vista del diritto. E questo era un modo per regolarizzare lentamente, ma in maniera sistematica, le persone che arrivavano in maniera regolare, sapendo che tanto i rimpatri sono bassissimi e quindi anche un governo che vuole puntare sui rimpatri farebbe sempre la fine di un governo un po’ stupido, tanto per darvi un altro numero. Al momento ci sono circa mezzo milione di persone irregolari in Italia. Noi rimpatriamo circa 3.000 persone l’anno. Ci vorrebbero 120 anni per rimpatriare tutti quelli che sono qui. Se nessun altro arriva da questo momento in poi, ovviamente. Quindi qual è il punto? Bisogna puntare a cercare di regolarizzare le situazioni, magari soprattutto quelle che sono più probabilmente vicine ad arrivare all’integrazione. Poniamo anche soltanto l’accesso al mercato del lavoro. E questo era un modo: avere le protezioni, umanitaria o speciale, era il primo passo per poi magari convertire il permesso di soggiorno in permesso di lavoro. Questo non ci sarà più. Primo passo indietro, molto forte, molto grosso. Secondo passo indietro, non è contenuto nel nuovo patto per l’immigrazione, ma è una conseguenza. Di fatto tutti i paesi puntano al tentativo di scoraggiare gli arrivi, il che significa rendere molto più complesso ogni singolo passo, quindi finanziare, per esempio, la cosiddetta guerra costiera libica, cercare di avere collaborazioni con governi che sostanzialmente reprimono il più possibile, buttano le persone verso il deserto, poniamo la Tunisia, o anche con governi che adesso sono diventati anti europei. Per esempio con il Niger che invece per anni ci ha aiutato reprimendo il traffico irregolare, il che significava sostanzialmente bloccare le persone e a volte lasciarle morire nel deserto. Quindi questi sono i passi indietro, sia interni sia esterni. Il che vuol dire dare più soldi sostanzialmente alle organizzazioni che in Europa si occupano di regolarizzare e reprimere, quindi prendere le persone e mandarle fuori e darne magari pochi di più, ma pochi in percentuale di più, a chi si occupa invece di integrazione.

DF: Sì, poi senza contare che chi arriva qua poi si vede spesso negato, come testimoniamo noi, sia il diritto a chiedere asilo che il diritto all’accoglienza, ma questo è un altro capitolo, ahimè, su questo ci lavoreremo anche prossimamente. Ti chiederei, rispetto ai passi indietro, anche cosa c’è nel nuovo patto rispetto all’esternalizzazione delle frontiere. Noi abbiamo visto nel tempo questo tentativo dell’Europa di dire: cerchiamo di spingerli fuori dai confini, cerchiamo di decidere se hai diritto all’asilo o meno fuori dai confini e questo nel patto viene detto in modo esplicito, esternalizzando le frontiere.

MV: Allora, nel patto, di legale c’è veramente poco in realtà. Di legale c’è una cosa, cioè sostanzialmente si dice che ci sono dei momenti in cui possiamo sospendere le nostre regole interne, di accoglienza, nel caso sospettiamo e riusciamo a provare che ci sia qualche attore esterno che ci sta buttando addosso i flussi dal punto di vista geopolitico. Questo era stato un fatto, vi ricorderete forse, per la questione della Bielorussia, quando Lukashenko, sembrava, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, che stesse mandando un bel po’ di persone migranti, dopo averle fatte arrivare via aerea dalla Turchia e dall’Iraq direttamente, verso i confini europei per, sostanzialmente, scompaginare le carte, suscitare reazioni da parte dell’Europa, in modo che si vedesse che non siamo effettivamente accoglienti, non siamo diversi da loro. Questa cosa è un po’ pericolosa perché poi chi decide che questa è una crisi geopolitica? Che sono la Tunisia, il Marocco, la Libia a mandarci persone? Per questo dobbiamo poter sospendere alcune regole di accoglienza basilari in Europa e quindi aprire un po’ i giochi. Su Lukashenko era vero, c’era anche un utilizzo politico delle persone migranti e lo sappiamo purtroppo sulla loro pelle. Per altri casi, si apre una discrezionalità problematica. Nel patto poi c’è pochissimo d’altro, però c’è il clima generale. Per cui l’Italia va in Albania e si inventa dei centri di trattenimento per processare lì le richieste. Oppure il Regno Unito, che non fa parte dell’Unione Europea, si inventa i centri in Ruanda. La cosa interessante, se vuoi, se posso farti un commento rapidissimo sui centri per l’Albania, è che, e lo dico molto molto fra i denti, sono ridicoli. Se noi andiamo a vedere cosa succederà molto probabilmente in Albania, e lo vediamo già oggi, possiamo pensare che non partiranno prima di novembre e se anche partissero sarà un disastro. E quindi io credo che sia per questo che il governo sta un po’ rallentando. Cioè l’idea, non soltanto dal punto di vista legale, e morale se vogliamo, ma anche dal punto di vista pratico, di processare le persone fuori, in Albania, significa che comunque tutte le persone alla fine torneranno in Italia, anche nel caso si vedano diniegata la protezione, finiranno probabilmente in alcuni CPR, che diventeranno pieni in un secondo e quindi poi alcuni di loro, molti di loro non saranno più nei CPR, ma dovranno essere per forza liberati. Quindi in fondo la situazione sarà identica, torneranno in Italia e poi staranno qua, altrimenti il centro in Albania si riempirà in un mese e mezzo. Per farvela breve è abbastanza indicativa dei giorni nostri che persino delle forze moderate, partiti politici moderati, come il Partito Popolare Europeo, la stessa von der Leyen, quindi la Presidente della Commissione Europea, dica che guardano con interesse l’esperimento italiano. Io credo che se guardano con interesse l’esperimento italiano, guarderanno con interesse anche il suo fantastico e drammatico fallimento nei prossimi mesi, ma in realtà non è che me lo auguri. Penso che sia sotto gli occhi di tutti che se uno va un po’ a guardare cosa succede in Albania e come funzionano i centri, non si possa arrivare ai numeri che si inventa il governo italiano. Non entro tanto nel dettaglio perché appunto non è dentro il nuovo patto per le migrazioni, però io credo sia un segnale molto problematico che si stiano facendo, come sempre, le politiche migratorie a suoni di annunci e non si vada a lavorare sulla realtà concreta che è quello che appunto fanno il NAGA e molte altre associazioni, che è un po’ la realtà di tutti i giorni e quella che ci ritroveremo anche dopo novembre nel caso partisse il centro per l’Albania, che vi ricordo appunto contiene poche persone, in teoria entro quattro settimane queste persone dovrebbero vedersi un esito nella richiesta di asilo, che è un po’ ridicolo, no? Immaginatevi se in quattro settimane – quando non si trovano gli avvocati, non si trova nessuno – in Albania, le persone portate lì ottengano un responso! Comunque dopo il responso tu non le puoi rimpatriare dall’Albania. L’Albania, tra l’altro, ha accordi di rimpatrio ancora più flebili e labili di quelli italiani, quindi è molto probabile che le persone che si vedranno porre un dinego lì, poi finiranno in Italia.

DF: L’unico effetto sarà farle soffrire. Rispetto a questo, diciamo che la propaganda, ma anche quello che le politiche hanno dimostrato in questi anni è stato appunto di puntare molto sui costi dell’immigrazione, sui costi economici e sociali, però poi nel contempo abbiamo visto in realtà aumentare sempre di più i costi della difesa dei confine. Quindi da una parte non vogliamo più spendere soldi per accogliere le persone, dall’altra ne spendiamo sempre di più per difendere questi fantomatici confini, come se poi questa cosa servisse a fermare le persone. Ecco, questo nuovo patto europeo, con tutto quello che si porta dietro e che abbiamo appena accennato oggi, da un punto di vista economico e sociale, quali conseguenze potrebbe avere soprattutto per i paesi di frontiera?

MV: Allora, per quanta riguarda I centri in Albania, basta guardare i costi supposti e presunti, cioè se veramente andasse tutto come dice il governo italiano, comunque siamo attorno ai 50 euro al giorno per persona, cioè più che in Italia, quindi il doppio di quello che costa l’accoglienza in Italia. Se non andasse, come dice il governo, arriveremmo verso i 200 euro a persona. Io penso che sia plausibile che i numeri non saranno quelli che dice il governo, quindi il costo totale della misura, pensa te, è quasi dieci volte quello che sarebbe l’accoglienza giornaliera in Italia. Quei 26-27 euro a persona a cui si arriva nel caso di persona adulta. Questo già dice una cosa. La seconda cosa che dice questa tendenza è che sostanzialmente non è solo il nuovo patto per la migrazione e l’asilo a essere cambiato, ma i finanziamenti sono cambiati, una tendenza che esiste da anni. La guardia costiera di frontiera europea, cioè Frontex, sta vedendo un aumento dei suoi finanziamenti da anni, ormai siamo arrivati a, credo, 700-800 milioni di euro l’anno, forse addirittura abbiamo superato il miliardo quando si stava sui 100-200 milioni di euro l’anno prima. Questo significa ovviamente che si vuole spendere per tenere le persone fuori. E un secondo commento che posso fare sull’accoglienza, è questo: è vero che negli anni del boom dell’accoglienza, 2014-16, c’erano un sacco di realtà che ci hanno lucrato, ma ridurre il discorso al ragionamento che, siccome c’è gente, come dappertutto dove c’è un piccolo boom, che ci lucra, allora è tutto marcio, tutto cattivo, è un’affermazione risibile. Ovviamente bisogna riformare, ovviamente ci vogliono controlli, ovviamente ci vuole un’estrema attenzione verso chi ha rubato soldi anziché dare servizi alle persone migranti che venivano accolte. Allo stesso tempo non significa che invece sia il sistema che non funziona. E se si pensa che il sistema non funziona, comunque con gli stessi soldi si può cercare di riformarlo, cosa che non si è fatta negli ultimi anni. Sappiamo che l’accoglienza diffusa, se, in alcuni casi, è fonte di ruberie, in molti casi è fonte di eccellenze, ed è stata depotenziata anche nel momento in cui negli ultimi due anni sono aumentati gli arresti. Quindi questa è un po’ la tendenza.

DF: Grazie, ora chiuderei con quest’ultima domanda. Allora abbiamo visto tendenzialmente anche, guardando i dati, come spesso ci ricordi anche sui tuoi canali, che tendenzialmente la politica europea è fallimentare come lo è stata la politica italiana degli ultimi trent’anni. Abbiamo un’Europa che è in calo demografico e che manca gente che lavora. Detto questo, a livello politico vediamo una crescente affermazione di realtà molto ostili all’immigrazione, che possiamo chiamare nazionaliste. Sono 30 anni, forse di più, che parliamo di fortezza Europa. Tu come la vedi questa Europa rispetto al tema migratorio da qui a dieci anni?

MV: Ma sai che paradossalmente, e voglio chiudere con una nota di speranza, sono stranamente pessimista sulla narrazione, ma ottimista sui fatti. Perché, pensate, in Italia abbiamo il governo più di destra nella storia post Seconda Guerra Mondiale e questo governo ha fatto la riforma dei flussi più importante e più positiva che sia stata fatta negli ultimi 30 anni. Cosa significa? L’anno scorso i flussi sono stati programmati per tre anni, ed è la prima volta che lo facciamo. E soprattutto sono aumentati tantissimo. Tre anni prima dell’arrivo di questo governo sono entrate regolarmente 90.000 persone, sono state regolarizzate 90.000 persone. Nei prossimi tre anni, da questo ai prossimi due, ne entreranno mezzo milione, 450.000 in più, oltre alle 40.000 aggiunte l’anno scorso, cioè mezzo milione, il quintuplo. Perché? Perché persino un governo che parla di sostituzione etnica in campagna elettorale, poi non può fare a meno di ammettere il fatto che le forze produttive sono quelle. Non apro il capitolo paghe, salari, ecc. ma dall’altra parte il mondo produttivo, persino confindustria, ogni anno fa, diciamo, le stime di quanti lavoratori stranieri, non impiegabili quelli italiani, gli servono e l’anno scorso la stima era un milione. Quindi il governo cosa ha dovuto fare? Ha dovuto mediare, ha detto “vabbè almeno mezzo milione dobbiamo farlo entrare”. Vi rendete conto della differenza tra chi dice sostituzione etnica, chiudiamo i confini, ciao a tutti, e dall’altra “oh cavolo ci servono mezzo milione di persone in tre anni, facciamoli entrare e forse non bastano”, anzi sicuramente non bastano visto quello che chiede la stessa Confindustria, cioè quindi le stesse forze produttive. Quindi per chiudere, ci servono persone ma non solo. Io penso che il racconto da ideologico, debba diventare un racconto pragmatico. Il punto è che tutte le nostre stime ci dicono che quello che succederà in Africa, per esempio, il raddoppio della popolazione, eccetera, non porterà probabilmente a un aumento drammatico delle migrazioni verso l’Europa, ma a una sorta di finestra migratoria di circa 30 anni in cui più persone potrebbero arrivare verso l’Europa. Siccome quelle persone in questo momento ci servono, anche pragmaticamente, per forza alcuni governi che adesso girano a destra dovranno poi tenere conto della realtà. Anche se chi continua a usare l’immigrazione come argomento tossico vincerà. È semplice dare la colpa all’altro, allo straniero, al diverso, ma un po’ alla volta dovrà essere moderato dalla realtà.

DF: Matteo Villa, grazie.

MV: Grazie a voi.

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