Notizie ,

I Luoghi e le Persone – La follia e la resilienza


L’accoglienza si declina sempre con l’emergenza. Avviso in un CAS di Milano.


La follia e la resilienza

Un ragazzo, bruno, riccioluto, alto e una donna, curata, dall’aspetto molto giovane che, dallo sguardo che gli rivolge continuamente, parlandogli a bassa voce in arabo, si capisce che si affida totalmente a lui che non avrà più di 23 anni. Forse anche meno. Sembrano una coppia con una forte intesa e una pacatezza che sorprende, vista l’entità dei problemi che ci comunicano. Sono madre e figlio. Lei marocchina e lui nato in Libia, dove lei è andata a lavorare per diversi anni. Nata lì anche una figlia, ormai maggiorenne anche lei. La ragazza è rimasta a fare la guardia ai loro bagagli, mi dice in un fluido italiano il giovane. È rimasta sotto a un ponte, dove hanno dormito la notte. La storia che mi racconta R. è decisamente rocambolesca, ma a ben vedere nulla di così diverso da molti altri racconti… Arrivati dalla Libia nel 2017, la madre con i due bambini finiscono a vivere in un Cas di una cittadina di provincia del centro Italia. Non si lamentano di questa accoglienza, ma ricevuta la protezione internazionale, la giovane madre, capendo che lì non avrebbero avuto futuro, decide, pur non avendo nessun contatto in quel paese, di partire per la Germania con i suoi due figli. Ed ecco che scatta per loro la mannaia del trattato di Dublino e a nulla vale la Protezione ricevuta, devono tornare in Italia. Ma devono aspettare di essere riportati nel nostro bel paese e l’attesa dura ben cinque anni. Nulla per un adulto, ma tantissimo per dei ragazzini che, nel frattempo si fanno maggiorenni e trovano lavoro e anche una sistemazione dignitosa per tutti e tre.

A nulla vale tutto ciò, la legge, pur assurda che sia, è legge, e quindi dopo cinque lunghi anni, che hanno cambiato loro la vita, vengono presi e spediti in aereo in Italia, a Malpensa. L’autorità tedesca li manda da noi al Naga, dicendo che siamo i soli a poterli aiutare! Ma non restituisce loro i documenti per cui non hanno più nulla in mano che attesti che sono dei rifugiati.

Bisogna ricostruire tutta la trafila che li ha portati ad avere la protezione internazionale. Bisogna trovare loro un posto dove dormire, per non lasciarli all’addiaccio. Non semplice in una città come Milano. Mandiamo il ragazzo anche dai nostri medici, non avendo una tessera sanitaria italiana. Purtroppo ha perso due falangi di un dito, lavorando per una ditta tedesca che lo aveva mandato, sapendo lui molto bene l’italiano, a lavorare per una succursale italiana per 15 giorni, durante il mese di dicembre. La mano gli fa male, avrebbe bisogno di cure.

Il ragazzo sorride, ringrazia più volte. Noi siamo pervasi da una sensazione di sgomento di fronte all’assurdità di questa situazione. Una delle tante…

Sostieni il Naga, adesso.

Il tuo sostegno, la nostra indipendenza.