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Il Naga si racconta – Rete Mai più lager – no ai cpr

La casa degli orrori

È trascorso un anno dalla riapertura del Centro di permanenza di via Corelli e l’orrore silenzioso si perpetua imperterrito in quel luogo, nonostante se ne richieda sempre più a gran voce la chiusura.
Il non luogo di sospensione dei diritti di Milano continua a fagocitare e ad espellere vite, verso rimpatri in terre non più patrie o verso i margini di una società inospitale e complessa.
La situazione all’interno del CPR di via Corelli, a un anno dalla riapertura, tra silenziosi e angusti oblii, risulta ancora critica e irrispettosa delle fondamentali garanzie dei diritti umani. Ma tocca constatare che i presupposti della detenzione amministrativa difficilmente potranno cambiare tali connotati. Nonostante ciò, nelle giornate del 5 e del 6 giugno 2021 l’oblio e la sospensione dei diritti sono stati momentaneamente stroncati dagli accessi a sorpresa del Senatore Gregorio De Falco e di due attiviste della Rete Mai più lager – no ai CPR (nonché volontarie Naga), avvenuti nel Centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli. Da questi accessi è scaturito un dossier Delle pene senza delitti, con lo scopo di dar voce a chi lì dentro la voce l’ha persa o soffocata troppo a lungo.

L’accesso ha constatato, a poco meno di un anno di distanza dall’apertura del Centro, il perpetrarsi delle pessime condizioni igienico – sanitarie nelle quali versano i detenuti e la ristrettezza degli ambienti nei quali questi trascorrono le proprie giornate, completamente prive di svaghi o spazi di condivisione. Continuano a mancare libri, radio e qualunque altro strumento capace di innalzare dignità e animo umano, ancor  più in una condizione di tale ingiusta detenzione. Manchevole l’attenzione per i servizi destinati alla persona, e assenti figure professionali fondamentali. Si protrae con superficialità nella massiccia somministrazione di psicofarmaci che causano unitamente a un effetto sedativo e calmante anche conseguenze e istinti suicidari che i trattenuti sfogano provocandosi innumerevoli atti di autolesionismo, senza che sia loro destinato un attento e costante monitoraggio. È sempre più difficile garantire la tutela legale a chi si trova condotto da un giorno all’altro nel CPR, senza adeguata informativa circa i propri diritti e il proprio destino, schiacciato dalla minaccia del rimpatrio e ignaro circa le modalità di attuazione della propria detenzione. È proprio a contrasto di questo abominio e al fine di fornire assistenza legale alle persone trattenute all’interno del CPR di Milano che il Naga ha sperimentato l’attivazione di uno specifico centralino a supporto di chi, trattenuto all’interno del CPR, è in cerca di un legale o di chi ha un parente trattenuto all’interno del Centro e si cimenta nell’ardua impresa di aiutarlo in qualche modo.

L’obiettivo del rimpatrio”, alla base della logica dei CPR, oltre a essere un obiettivo coatto e violento, non considerevole dell’individualità  e della singola esistenza di ciascuno, è oltretutto un obiettivo che si realizza in meno del 50% dei casi delle persone trattenute, proprio a testimonianza della scarsa efficacia del sistema, già irrispettoso e ingiusto di per sé. Inoltre i tempi di trattenimento, che inizialmente prevedevano un limite di 90 giorni prorogabile qualora lo straniero fosse cittadino di un Paese con cui l’Italia avesse sottoscritto accordi in materia di rimpatri, nella pratica lievitano ulteriormente, tanto che durante l’accesso del 5 giugno 2021 un detenuto del CPR di Milano annoverava una permanenza iniziata nel gennaio 2021. Basta poco per immaginare le tragiche conseguenze psicologiche che il protrarsi di una detenzione così degradante possa provocare su qualunque individuo, senza poi tener conto del caso in cui all’interno del centro vengano condotte persone con precedenti criticità psichiatriche o forme di tossicodipendenza, in nessun modo trattate durante il periodo di trattenimento, stante – fino ad agosto – la mancanza di un protocollo d’intesa tra la Prefettura e l’ASL. Ciò porta a detenere nei CPR soggetti che dovrebbero essere ritenuti incompatibili con lo stato del trattenimento amministrativo, ma, nonostante questo, continua imperterrita la violazione di diritti di primaria importanza.

Proprio a questo proposito agli ingressi del 5 e 6 giugno nel CPR di via Corelli sono conseguiti:

  • un primo esposto penale, con il quale è stato richiesto il sequestro della struttura per la totale indisponibilità di cure sanitarie specialistiche all’interno del Centro, dovuta al mancato accordo tra Prefettura e ASL;
  • un secondo esposto penale che ha ipotizzato il reato di lesioni e tortura aggravata in concorso, facendo riferimento alle testimonianze rilasciate dai trattenuti circa pestaggi avvenuti il 25 maggio 2021 da parte di agenti delle forze dell’ordine.

È stato proprio in seguito al deposito del primo esposto che la Prefettura di Milano e l’ATS si sono adoperate al fine di stilare un protocollo per far fronte alla carenza evidenziata. Tale protocollo ha però ancora contorni molto sfumati e sarà necessario verificare la trasposizione di quanto posto su carta nella realtà.  E proprio a tal proposito è di pochi giorni fa la Circolare del Ministero dell’Interno che con riferimento a talune carenze nell’assistenza di natura socio-psicologica a favore dei trattenuti nei CPR attesta per tutti i centri di permanenza per il rimpatrio la necessità di provvedere alla stipula del protocollo d’intesa tra Prefettura e ASL previsto dal Regolamento unico CIE del 2014.

Al momento degli accessi del 5 e 6 giugno i trattenuti all’interno del CPR di via Corelli erano circa 46 e come si legge nel dossier Delle pene senza delitti  la risposta ricevuta dalla Prefettura circa i numeri e le persone transitate dalla data di apertura del Centro attesta in 569 il numero delle persone complessivamente trattenute nel CPR di via Corelli. 350  sono invece le persone rimpatriate, mentre 177 sono le persone rilasciate e non rimpatriate.

16 sono stati invece i minorenni accertati illegittimamente trattenuti.

Come sottolineato nel dossier mancano all’appello 42 persone non riportate nei sopracitati elenchi e la grandissima parte degli ingressi e quindi dei rimpatri è intervenuta nei primi cinque mesi dall’apertura del Centro. In merito alle 569 persone trattenute: 79 sono state tradotte nel CPR dopo aver scontato la propria pena in carcere, 7 sono già giunte nel CPR come richiedenti asilo.

In 9 mesi di apertura del Centro, (28 settembre 2020 – 22 giugno 2021), 9 sono stati i reclami/richieste al Garante nazionale o locale e 37 le domande di asilo presentate in costanza di trattenimento. 400 dei 569 trattenuti sono di nazionalità tunisina.

Inoltre benché gli accessi del 5 e 6 giugno fossero avvenuti pochi mesi prima del cambio dell’ente incaricato della gestione del centro, ad oggi la situazione non può dirsi migliorata. La gestione è stata infatti affidata dal mese di ottobre a una società già nota per irregolarità commesse in altri centri oltre che per le metodologie violente e intimidatorie poste in essere dalla stessa nei confronti dei migranti.
Il Naga, la Rete Mai più lager-no ai CPR e tutti coloro i quali credono in una società migliore devono continuare instancabilmente a lottare insieme per la chiusura di tutti i CPR, contro la logica che vede la detenzione amministrativa, destino inevitabile e immancabile degli irregolari, di chi le regole non le ha seguite – verrebbe da pensare – o forse semplicemente di chi nato altrove cerca casa verso nuove coste. E la regolarizzazione della posizione di costoro sul suolo italiano resta condizione imprescindibile per non incappare nell’ingranaggio della detenzione amministrativa che vede privati della libertà personale, senza la commissione di alcun reato, coloro i quali non posseggono documenti in regola. L’abominio si scontra fortemente proprio laddove regolarizzare la propria posizione sul suolo italiano è attualmente quanto di più difficile ci possa essere, dopo anni di legislazioni e politiche migratorie sempre più connotate da toni liberticidi e repressivi, instancabilmente improntate alla criminalizzazione del fenomeno migratorio.

Considerare il possedimento di documenti in regola l’unica condizione per non essere oggetto di detenzione amministrativa pare sempre più un irrispettoso calcio alla dignità umana, oltre che una grave ingiustizia da subire silenziosamente, nell’oblio di centri fatiscenti, costruiti con architetture afflittive, ai margini delle nostre città: scenario perfetto per questo tremendo e inaccettabile meccanismo di marginalità sociale.

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