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Il Naga si racconta – Cabiria

Cabiria

Dal 1995 Cabiria è l’unità di strada (UdS) del Naga che si occupa di informazione e prevenzione con le persone che si prostituiscono. 

La grave crisi pandemica da SARS-covid 19 ha avuto un impatto non indifferente sulle condizioni di vita e di salute delle persone che incontriamo, inducendoci a modificare le modalità del nostro approccio e a riflettere sul nostro ruolo. 

La composizione prismatica della nostra utenza, infatti, non è particolarmente mutata rispetto all’ultimo report che vi abbiamo proposto. 

Su 111 persone incontrate in 592 contatti, l’84% di esse sono persone trans MtF, per la maggior parte provenienti dal Sudamerica (47% Brasile, 35% Perù, 5% Ecuador), l’8% sono donne cis, di varie nazionalità, e il 5% sono persone Trav. 

Ciò che è mutato significativamente, invece, sono le preoccupazioni e le esigenze di queste persone, legate in larga misura a necessità pragmatiche impellenti, ma anche a nuovi temi. Infatti, tante sono state le richieste di aiuto per l’accesso a servizi sul territorio che non avevamo finora pensato di coinvolgere. 

Per questo motivo abbiamo implementato il servizio di accompagnamento diurno.

Importante è stata la richiesta di regolarizzazione burocratica, che ci ha portato ad attuare numerosi accompagnamenti ai consolati, ai fini di richiedere il passaporto, da parte di persone che non possedevano più alcun documento valido da decenni. Non solo: abbiamo cercato di lavorare sulle risorse che già possediamo, coinvolgendo il più possibile gli altri servizi NAGA e facendo entrare fisicamente la nostra complessa utenza in via Zamenhof e in San Colombano. 

Inoltre, è necessario ricordare che le persone che incontriamo come unità di strada sono spesso soggetti che subiscono contemporaneamente discriminazioni su molteplici livelli, che hanno difficoltà abitative, problemi sanitari e di dipendenze. Per loro l’accesso alle strutture e ai servizi presenta ulteriori difficoltà, legate alla profonda marginalizzazione che vivono quotidianamente.

Il modo più semplice e diretto per raccontarvi alcune di queste dinamiche è dare spazio direttamente alle persone che incontriamo. Alcune vicende ci sono state raccontate, di altre ne abbiamo avuta esperienza diretta durante gli accompagnamenti diurni.

Pregiudizio, stigma e discriminazione da parte dei servizi sanitari

E. è stata aggredita in strada da quattro uomini che le hanno procurato un largo taglio in testa con una spranga. Qualcuno di passaggio ha chiamato il numero di emergenza e lei si è ritrovata al Pronto Soccorso dell’ospedale San Carlo, nel cuore della notte, con la minigonna, i tacchi e un nome maschile sui documenti. “Mi hanno trattata da troia. È stato bruttissimo. Non mi hanno nemmeno dato del paracetamolo per il dolore”, ci ha detto.

L’atteggiamento apertamente discriminatorio degli operatori di pubblico servizio ha non solo fatto di un’esperienza di per sé traumatica un’ulteriore violenza, ma ha del tutto compromesso e ristretto il diritto alla salute di E., che non è stata trattata con la dignità che merita ogni essere umano e non ha ricevuto le cure necessarie per la sua situazione. 

Irregolarità e STP: un diritto non esercitabile 

Oltre alle violenze e micro-aggressioni che le persone che incontriamo subiscono direttamente dagli operatori sanitari, spesso il primissimo ostacolo è rappresentato dal concreto accesso al SSN. Il codice STP – è necessario ricordarlo – è lo strumento attraverso il quale una qualsiasi persona presente sul territorio in maniera irregolare ha accesso alle cure mediche fornite dal SSN a condizioni di parità di trattamento. Va rilasciato dalle strutture sanitarie pubbliche e per il suo ottenimento non è necessario fornire un documento d’identità. 

Questo, sulla carta. La realtà, purtroppo, in Lombardia e a Milano, è molto diversa. 

A luglio 2021 accompagniamo F. a una visita presso l’Ospedale Sacco, dove è in cura da dieci anni con la stessa Dottoressa. Ha una visita di controllo, ma sta per scadere il codice STP. 

Per F. l’STP è fondamentale, ogni tre mesi ne ha bisogno per fare gli esami e prendere i nuovi farmaci. Chiediamo quindi alla Dottoressa di poterlo rinnovare non appena scadrà, come ha sempre fatto. La Dottoressa va ad informarsi e torna poi per comunicarci che si può rifare solo quando F. avrà il passaporto. 

F. riesce ad ottenere l’STP, alla fine, rivolgendosi ad un altro ospedale, il Niguarda, mandando via mail il vecchio STP e il passaporto scaduto. 

Un anno dopo, a luglio 2022, ci capita di ritornare al Sacco per lo stesso motivo. J. ha da poco scoperto di essere positiva all’HIV. Ci chiede come può essere presa in carico al Sacco, dove le hanno consigliato di andare alcune amiche. 

Organizziamo allora un accompagnamento, ma, arrivatə in ospedale, veniamo rimbalzatə da uno sportello ad un altro. Insistiamo perché J. non sta bene e in questo periodo ha iniziato ad avere i primi sintomi. Arriva un medico che ci dice una cosa che avevamo già sentito: “non facciamo STP senza un passaporto”. 

Ci impuntiamo e veniamo rimbalzatə ad un altro Padiglione, dove si trova l’Amministrazione. Anche qui ci viene detto che senza documenti, di qualsiasi tipo (non più tassativamente un passaporto), non avrebbero rilasciato l’STP perché hanno bisogno di sapere con certezza l’identità delle persone che curano, anche per tutelarsi da alcuni controlli che ci sono stati da parte della Guardia di Finanza e dei NOCS (Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza). 

Dopo ulteriori nostre insistenze, l’amministrazione decide che, allegando il certificato di nascita di J. e una sua autodichiarazione, le avrebbero potuto produrre un STP e assegnare una Dottoressa per la presa in carico. 

L’ottenimento dell’STP, abbiamo avuto modo di notare, è estremamente discrezionale. Da un lato, la normativa è vaga e, dall’altro, viene deliberatamente ignorata dalle strutture sanitarie. La procedura regionale non è chiara e ogni struttura ha pratiche diverse. Infatti, nonostante esse siano tenute per legge a rilasciare un codice STP pure a chi è sprovvisto di documenti d’identità, alcune si rifiutano di farlo, anche in presenza di persone affette da malattie croniche, già prese in carico da anni.

Ma questo STP funziona? 

Una volta ottenuto l’STP, la persona potrà davvero accedere ai servizi di cui ha diritto e necessità a condizioni di parità di trattamento? 

R. deve prenotare un’ecografia all’addome, ha un’impegnativa con urgenza della sua Dottoressa. Non le viene data nessuna indicazione e proviamo a prenotare tramite il CUP regionale, ma per lə cittadinə stranierə in possesso di codice STP è impossibile prenotare una visita o un esame diagnostico tramite CUP, poiché il form di prenotazione prevede l’inserimento del solo codice fiscale. 

Dopo infinite telefonate, capiamo che l’unica soluzione è presentarsi direttamente in ospedale con l’impegnativa. 

Questi sono solo alcuni esempi delle tante esperienze che costituiscono una chiara violazione dei diritti dellə cittadinə stranierə irregolari.

Ci chiediamo: senza la nostra presenza durante i vari accompagnamenti, F. avrebbe ottenuto un nuovo STP? R. avrebbe fatto la sua ecografia? J. avrebbe ottenuto la presa in carico dal SSN o avrebbe dovuto aspettare mesi, il tempo che ci vuole per fare un passaporto, prima di iniziare le cure?

Come Cabiria, crediamo fortemente nella pratica dell’accompagnamento, che ci fa vedere in prima persona gli ostacoli che lə cittadinə stranierə che si prostituiscono incontrano e allo stesso tempo ci permette di “dare fastidio” e far sentire che queste persone esistono e che le difficoltà che si trovano ad affrontare sono enormi.

Siamo arrabbiate perché senza la nostra presenza il trattamento di queste persone sarebbe stato ben diverso, ma come il Naga esiste con lo scopo di scomparire, accompagniamo le persone affinché non sia più necessario. 

Nel frattempo, a nome di Cabiria tutta, ci sentiamo di dedicare questo contributo sulla newsletter a F., alla quale pensiamo sempre.

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