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Il Naga si racconta – Rei folli

Rei folli

“Quando uscirò di qui andrò di filato al parco Sempione e mi rannicchierò sotto un albero”. P. si abbraccia trasognato, mentre ci aiuta a chiamare i detenuti “del NAGA”. Talvolta parla con sottile ironia dei suoi episodi maniacali. P. è affetto da disturbo bipolare e sa che quando questi episodi diventano parossistici, può diventare pericoloso.                                                 

Fino al 2014 le persone con un problema psichico e autori di reato (i cosiddetti “folli rei”, non imputabili), erano rinchiusi negli OPG, Ospedali Psichiatrici Giudiziari, luoghi che, dalla metà degli anni Settanta, sostituirono i manicomi criminali. Con la chiusura degli OPG, anche coloro i quali sono stati condannati (come P.) ma affetti da patologia psichiatrica grave (i “rei folli”) devono essere curati e riabilitati attraverso la rete territoriale di servizi di salute mentale, nati nel 1978 (Legge Basaglia). In entrambi i casi, “folli rei” e “rei folli” hanno diritto a essere riconosciuti come pazienti e, se pericolosi per la comunità, essere ricoverati in una REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), luoghi chiusi il cui obiettivo è curare la fase acuta della malattia e riabilitare il paziente attraverso un percorso di terapia e assistenza psicosociale. P. ha scontato la sua pena a fine estate. Può uscire dal carcere, ma attende di essere accolto in una REMS. Dai dati della Corte Costituzionale le REMS Italia sono 36 strutture con 652 posti letto totali, insufficienti a coprire le richieste espresse dai tribunali. Per il Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria la lista d’attesa ammonta a 750 detenuti. Sono i pazienti più critici, trasferiti in sezioni specialistiche del carcere da cui si entra e si esce solo con l’autorizzazione di un giudice, in base alla diagnosi degli psichiatri penitenziari. Ci sono poi un numero non stimato di persone ristrette nei circuiti ordinari carcerari, nonostante soffrano di un disturbo psichiatrico. Chi può permettersi un buon avvocato e ha maggiori risorse culturali ed economiche, può più facilmente vedersi riconosciuta l’infermità mentale, mentre per un detenuto povero (spesso straniero), senza perito di parte, è facile rimanere nel carcere ordinario, senza una accurata diagnosi e un indirizzo trattamentale.  

La tutela della salute mentale in carcere (anche in chiave preventiva) continua ad essere tema ampiamente trascurato.

Intanto anche P. può rimanere recluso per altri 304 giorni, il tempo medio di attesa prima di essere ricoverato in una REMS.


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