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Un “non luogo” pieno di vita
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La dignità calpestata
Uno spazio dimenticato, contraddistinto solo da un numero, il codice di avviamento postale della zona in cui si trova. Alcuni murales sui muri di un modesto edificio a un piano. Forse un tempo, ci siamo immaginati, occupato da degli uffici. Un gruppo di cittadini decide di occuparlo alcuni anni fa, mettendo al riparo famiglie straniere e italiane in cerca di un alloggio. Non importa se regolari o meno, se hanno i documenti. Hanno bisogno di riparo dove vivere. Persone di mezza età, sfiancate dalle avversità delle vita. Lì si sono create la loro tana, abbellita da qualche suppellettile recuperata chissà dove o sopravvissuta ai rovesci della fortuna. Lo spazio, che un tempo doveva essere di proprietà di un’azienda, è lo spazio dei fallimenti. Il primo è quello dell’azienda stessa, e il secondo è quello delle persone che lo hanno occupato, cercando di rimettersi in sesto e di dare una qualche parvenza di normalità alla propria vita. In cerca di una stabilità che fa a pugni con questo spazio che trasuda precarietà e fatiscenza. In cerca di una dignità che non è più di moda in questi anni.
La dignità non è più un valore. Sempre più spesso viene calpestata, annichilita da una concatenazione di eventi e prese di posizione che non lasciano intravedere neppure uno spiraglio di speranza in una sua resurrezione.
E così, per tornare al nostro spazio, l’occupazione, trascurata e volutamente non vista per anni dalle autorità, torna in auge. La decisione è presa. Va sgomberata. In nome della dignità le persone devono lasciare lo spazio. Chi è riuscito ad avere un’alternativa dove vivere è fortunato e chi non ci è riuscito un po’ meno. Il futuro è lasciato al caso, o meglio, alla buona volontà dei singoli. E la dignità continua a essere calpestata.