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I Luoghi e le Persone – La danza dell’invisibile


Milano: dall’apoteosi della moda, della cultura e dell’arte alle case vecchie in rovina dove vivono gli invisibili come topi.


La danza dell’invisibile

Alto, magrissimo, due occhi neri un po’ acquosi, una strana cuffia da piscina, a fiori su un fondo azzurro chiarissimo, in testa. Infradito a calzare i suoi lunghi piedi nudi, un piumino invernale, da neve, raccolto chissà dove e indossato in pieno luglio, senza mostrare alcun segno di caldo eccessivo. Un mondo strano quello di P. J. dove entrare sembra impossibile. I rapporti con lui sono essenziali. Fatti di poche parole e sguardi di intesa. Ogni tanto penso che nei quattro anni che ci conosciamo e che ci incontriamo almeno una volta alla settimana al Naga Har ci saremo detti sì e no il numero di parole che scambio con un amico in una serata. Eppure la confidenza è grande tra noi. Pur sapendo di lui troppo poco mi sembra di conoscerlo da anni.

Come è possibile che accanto a noi, alle nostre case, ci siano persone che dormono in un camion per un anno consecutivo, sera dopo sera? E che dormire in un camion sia per loro la norma, quasi non avessero mai pensato di poter dormire in un posto migliore? Da quando l’ho incontrato me lo chiedo spesso.

Ricordo ancora quando, dopo vari interventi in questura, la sua procedura per una nuova richiesta di asilo è stata riattivata. Che emozione scoprire che, in quanto maliano, aveva diritto a una protezione sussidiaria, diversamente da come era stato deciso quando era arrivato in Italia alcuni, anzi, tanti anni prima. Trovare per lui un posto in accoglienza non era stato semplice, come non lo è mai, ma ce l’avevamo fatta. Il simpatico direttore del CAS aveva persino mandato un suo operatore per accompagnarlo in macchina nel centro che lo avrebbe accolto.

Uso il condizionale, perché con P.J. il condizionale è d’obbligo. Le mie rigide certezze vanno in frantumi, si sciolgono come neve al sole. E voler cercare un motivo nelle sue reazioni è inutile, ormai l’ho capito.

Infatti, una notte nel centro e poi via di nuovo in strada. Troppe persone, un’organizzazione che gli stava troppo stretta.

E penso alla sua figurina, alta e magrissima mentre si muove con le braccia alzate verso l’alto, in un moto ondulatorio, sentendo della musica nel nostro centro ormai vuoto, verso sera, prima della chiusura.

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