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Il pensiero – Il potere dell’alfabeto

Foto: Pasquale Senatore/Ipa-Agency.Net/Fotogramma

Il potere dell’alfabeto

Parlare e comprendersi è importante. Lo è per chi nasce nello stesso Paese, parla la stessa lingua, e comunque non sempre si capisce. Figuriamoci per chi, nato in un altro Paese, forse un altro continente, non parla la lingua e non ne conosce una veicolare, come per esempio l’inglese.
Potremmo dire che ci sono più livelli.

Il primo è sicuramente l’essere padrone dell’idioma del posto. Fondamentale quindi che la lingua italiana si insegni a tutti coloro che hanno intenzione di vivere qui, trovare un lavoro e magari costruire una famiglia. La lingua è un’arma potentissima che non va trascurata. Ecco perché dal 2017 la Scuola di italiano è scomparsa dai capitolati che governano il sistema di accoglienza straordinaria delle persone che fanno richiesta di Protezione internazionale in Italia. In questo fine 2023, vigente il DL Cutro dello scorso marzo, l’apprendimento della lingua non c’è. I nuovi schiavi non hanno bisogno di capire la lingua, non devono parlare, basta che eseguano quei lavori che gli italiani non hanno più voglia di fare.

Conoscere la lingua non basta. Il secondo livello dipende da come la si usa. I toni, i gesti, la mimica sono fondamentali. Spesso il linguaggio non verbale trasmette quanto o più delle parole: con il corpo si racconta e si capisce. Questo secondo livello, se è difficile da interpretare per chi è nato nello stesso Paese, può esserlo molto di più per una persona straniera. I gesti sono diversi e così le espressioni e il tono della voce, che possono voler dire qualcosa che non cogliamo pur condividendo la lingua e il contrario vale per chi prova a capirci. Una sorta di supplemento al dizionario italiano di Bruno Munari che manca del tutto.

Il terzo livello mette in luce la lingua come strumento di potere. La farraginosità della burocrazia italiana è un esempio di questo fenomeno. Quante volte ci scontriamo con situazioni incomprensibili dove il malcapitato o la malcapitata si vede negare un proprio diritto… Un mare di parole non chiare in cui si annega, e così si affossa ciò che per legge è invece chiarissimo. Chi fa la voce grossa di solito l’ha vinta: aggressività, disattenzione, urla, parolacce, offese ed espressioni sessiste sono un linguaggio comune. Lo sdoganamento del linguaggio abbruttito, a partire dalle Istituzioni e nella società, ha portato a un appiattimento senza sfumature in cui la superficialità vince sulla complessità, impoverendo le idee stesse di contenuto.

Ora, torniamo alla lingua, all’origine di dove ci troviamo e alle tante lingue e voci che hanno attraversato l’Italia e affondato qui le proprie radici. E alle tante lingue e voci che sono parlate ora. Augurandoci, come ci invita a fare Federico Faloppa, con la pratica quotidiana, di costruire ponti, risemantizzare alcune parole e ritrovare il valore dell’alfabeto.

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