Notizie ,

Intervista – Video intervista a Nicoletta Dentico

La prossimità cura le ferite  

24 settembre 2020

Davide: Ciao a tutti e benvenuti a questa video intervista per la newsletter Fuorivista del Naga. Dopo “I muri che diventano ponti” con Marie Moïse e Mazen Masoud, nello scorso numero, oggi abbiamo come ospite Nicoletta Dentico, giornalista, esperta di cooperazione internazionale e salute globale. Ti saluto, ti ringrazio e lascio a te la presentazione.

Nicoletta: Grazie a voi per l’invito e sono molto contenta di parlare con la comunità del Naga a cui sono molto affezionata. Io mi occupo di salute globale, sono vicina anche ai temi dell’immigrazione, più volte ci siamo incontrati in questi ultimi anni con il Naga per questo. Naturalmente in questo tempo senza precedenti il tema che è anche il mio lavoro, la mia professione, il mio interesse, cioè, la salute, la salute pubblica è tornato molto in auge.

Davide: Grazie. A proposito di Coronavirus, tra le domande che volevamo farti c’è appunto questa. Volevamo sapere come hai vissuto tu, che ti occupi di salute globale da molto tempo, la pandemia e secondo te qual è l’impatto che la pandemia ha avuto e può avere sul tessuto economico e sociale del paese.

Nicoletta: Dunque, personalmente ho vissuto la pandemia con momenti di profondo dolore, con momenti di sospensione, con momenti di smarrimento. Ho vissuto il Covid-19 perché mio figlio lo ha preso subito, proprio all’inizio del lock down. Quindi abbiamo dovuto gestire la questione casalinga. C’è stata anche la perdita di amici molto cari sempre a causa del Covid-19. Quindi ho sentito molto questo ritorno della morte che l’Occidente ha per decenni rimosso, allontanato e lo ha fatto naturalmente molto anche con i migranti, ma non solo e invece c’è stata questa ri-centralizzazione del tema della morte che in fondo fa parte della vita che ho sentito molto e che sento ancora molto perché mi ha molto colpito, ho sentito davvero in maniera molto forte quest’idea della morte in solitudine e della morte che non trova un momento di riconciliazione pubblica per salutarsi con i proprio cari, con le persone amate. Quindi questo procrastinare il momento pubblico dell’addio, che è un momento della vita, è stato quanto mi hanno insegnato gli amici africani.  È l’ultimo momento della vita che è stato sospeso, congelato, iper medicalizzato, così come è successo, come abbiamo visto nelle immagini dei primi mesi di Covid-19. Quindi sensazioni molto strane. Dopodiché ho sviluppato una decisa claustrofilia, nel senso che ho riscoperto la dimensione della natura, la dimensione anche di una certa solitudine, che tutto sommato può essere temporaneamente anche una cosa sana, può anche essere un momento di maggiore riflessione, di domande di senso che nella frenesia degli anni trascorsi forse abbiamo rimosso, abbiamo accantonato per altri momenti, ma considerando anche la mia età è giusto porsele. Covid-19 aiuta a pensare, aiuta molto a pensare.

Davide: mi collego alle esperienze personali che poi ognuno ha avuto drammaticamente in modo differente. Visto che poi tu ti occupi spesso, ne parli anche nei tuoi interventi anche su Altraeconomia della relazione che c’è tra la salute e il sistema economico. La pandemia, come tanti altri disastri spesso va a colpire le fasce di popolazione più debole. Volevo capire cosa ne pensi rispetto, in questo caso, a questa pandemia. Leggevo ciò che hai scritto su Altraeconomia, “Le pandemie cambiano la storia”. Ecco, spesso in peggio, forse. Tu, cosa pensi?

Nicoletta: Non è stato sempre così. Per esempio con la peste nera del Trecento – Quattrocento c’è stato un affrancamento da un tempo di schiavizzazione. Devo ammettere che all’inizio, a marzo e aprile, avevo anche qualche speranza che SarsCov2, questo virus sconosciuto, questo patogeno, che vive dentro di noi, nei nostri corpi, altrimenti non riuscirebbe neanche a esistere, avrebbe dato tante di quelle sberle, tanti di quegli insegnamenti che il mondo avrebbe imparato. Quindi ero più fiduciosa allora. Sono un po’ meno fiduciosa adesso, ma naturalmente Covid-19 questa malattia ha posto tutta una serie di questioni, ha fatto esplodere tutta una serie di questioni che esistevano anche prima. Covid-19 è un sintomo di un sistema che non faceva respirare. Di un mondo che non respirava, come George Floyd. I can’t breathe. Anche il mondo non respirava e naturalmente Covid-19 sta esasperando questa mancanza di respiro, che non è solo quella fisica della persona che sta male, ma è quella del mondo. Covid-19 ha messo in questione il rapporto tra pubblico e privato, un rapporto che deve esistere, ma che deve essere normato, regolato, cosa che non era e non è. Covid-19 ha messo in discussione la disuguaglianza e naturalmente l’ha fatta emergere più ferocemente. E’ vero che purtroppo le questioni di Covid-19 oggi non sono solo sanitarie sono anche sociali, sono economiche e si abbattono sulle fasce della popolazione che viveva già in una condizione più difficile. Però anche qui con degli aspetti un po’ particolari, per esempio, noi ci aspettavamo un disastro africano e invece in Africa, un po’ perché hanno una resistenza che deriva dal fatto di convivere con i virus, un po’ perché la scarsità di mezzi e la debolezza dei sistemi sanitari ha reso la classe medica, il personale medico, ma anche gli stessi africani, molto prudenti e molto consapevoli del pericolo. Tutto ciò, in un certo senso, non ha fatto deflagrare la pandemia con in numeri che avremmo immaginato. Un po’ come è successo nel sud d’Italia. Viceversa sono scoppiate altre questioni. È scoppiata la fame, la riduzione dello spazio democratico. Molti paesi del sud del mondo hanno usato Covid-19 per dare addosso a giornalisti, a intellettuali, a dissidenti in senso generale, oppositori in senso generale. Quindi tutto questo che già esisteva in nuce, con Covid-19 ha deflagrato brutalmente, però Covid-19 ci ha anche detto delle cose. Essere titolare di un hedge funds che è un lavoro, una professione che in fondo fino a gennaio del 2010 sembrava estremamente importante nel mondo, non lo è affatto. Mentre è molto importante essere un cassiere o una cassiera di un supermercato, essere un infermiere. È molto importante fare i lavori essenziali, perché su quelli poggia la società. Cose che sapevamo, ma che si sono disvelate alla società, sono cadute molte ideologie del neo liberismo e sono cadute tutte quelle ideologie che avevano inserito nel mondo sanitario, nella prestazione sanitaria logiche di mercato, di iper produttività, di competizione. I medici, gli infermieri, tutto il personale che è stato esposto maggiormente e che ha sostenuto l’onda d’urto di questa malattia, lo ha fatto non perché era ispirato da quelle ideologie di mercato e di produttività, ma perché era ispirato da un forte senso deontologico, dal senso del bene comune, la funzione di bene comune che svolgeva in quel momento e quindi nel giro di poche ore tutta questa prosopopea, questa ideologia, questi totem del libero mercato sono crollati grazie a questa malattia. Ora spetta a noi assicurare che non vengano ricostruiti in versione post Covid-19 perché purtroppo c’è una forte tentazione a ricominciare tutto, “business as usual”, come se Covid-19 non fosse lì a insegnarci tante piccole lezioni che sono la nostra ultima chance tutto sommato. La storia ha già provato prima con il crollo delle due torri, poi ci ha provato con la crisi finanziaria, adesso la storia viene a darci sberle con questa cosa che entra nei nostri corpi. Se non impariamo così non so cosa ancora dobbiamo ricevere per imparare la lezione.

Davide: Un po’ di ottimismo, quindi non temiamo la shock ecomomy di Naomi Klein, in questo caso. Tu parlavi di lavoro, di neo liberismo… Siamo in un’epoca storica in cui il sistema economico globale tende a cancellare posti di lavoro, tutti danno quasi per scontato che più si andrà avanti e meno lavoro ci sarà. Come vedi questo in prospettiva e che ruolo ha la pandemia rispetto a questa tendenza.

Nicoletta: Questo è uno dei crinali di ingiustizia, di debolezza, di frantumazione dei diritti su cui purtroppo Covid-19 ha agito con particolare virulenza. Se pensiamo alle decine di milioni di posti di lavoro perduti negli Stati Uniti. Se pensiamo alla precarizzazione sistemica dell’economia informale dei paesi del sud del mondo, Brasile, Africa, India. Se pensiamo ai milioni di persone che hanno avuto la dichiarazione di Covid-19 quattro ore prima e che sono dovute partire in qualche modo per cercare di tornare a casa propria in India. La precarizzazione del lavoro è purtroppo un sistema di lavoro che assume forme diverse nel nord e nel sud del mondo, ma che ormai connota in maniera piuttosto decisiva tutta questa fase della iper globalizzazione. Abbiamo perduto quell’impalcatura di diritti che si associavano al lavoro anche nelle società che avevano sistemi di welfare. Quindi è evidente che questa patologia del sistema economico, cioè la precarizzazione, si intreccia, si combina con il patogeno vero, con il virus, e ha degli effetti assolutamente devastanti. Ovviamente quando dico che un virus cambia la storia, e la storia delle epidemie ci insegna questo, proprio sul tema del lavoro io penso che nulla sarà come prima. Perché dico questo? Perché probabilmente la globalizzazione stessa dovrà riorganizzarsi. Non è più pensabile che si abbia bisogno di 15 paesi per costruire un’automobile. Quindi probabilmente avremo delle globalizzazioni più regionalizzate, avremo delle realtà di interazione commerciale-economica-finanziaria, – sicuramente, commerciale ed economica – più circoscritte. Perché comunque Covid-19 ha bloccato il sistema. Comunque il sistema è ancora fragilizzato. Stiamo aspettando la seconda ondata, alcuni paesi stanno già dando segnali di ritorno e quindi tutto quello che è stato sospeso  a marzo-aprile-maggio potrebbe tornare a essere sospeso nel mondo. Poi c’è bisogno di riconoscere il tema del lavoro dal punto di vista dei diritti di coloro che invece sono essenziali, che anche in una società colpita dal patogeno sono fondamentali per assicurarne il funzionamento. Ovviamente ci sono paesi che hanno un minimo di strutture sociali, un minimo di welfare per garantire una transizione di questo tipo e ci sono altri paesi che invece non hanno assolutamente niente. Abbiamo visto cosa significa la ambivalente storia dello smart working, che tanto smart non è, è home working, che è un’altra cosa, che colpisce in maniera molto più pesante il lavoro femminile, che colpisce in maniera pesante invece coloro che non possono lavorare smart e che devono andare a lavorare anche rischiando il contagio, perché comunque il loro lavoro è fondamentale per tenere il tessuto sociale ed economico di una società. Ci saranno molti sommersi e pochi salvati dopo Covid-19 se non impariamo la lezione profonda del cambio di paradigma che da un punto di vista economico Covid-19 ci impone. Cioè le disfunzioni, le inefficienze, le esternalità negative del neo liberismo erano già chiare prima e francamente penso che noi dobbiamo capire tutte le interconnessioni che esistono tra salute, ambiente, tutela della bio diversità, tutela delle foreste, tutela di tutti gli esseri viventi, che non sono soltanto gli umani, ma anche gli animali e le piante. La vicenda italiana, secondo me, lo racconta particolarmente bene: la Lombardia, in particolare, lo racconta particolarmente bene. Possiamo anche essere ricchi, possiamo anche avere un sistema sanitario più o meno forte, ma se viviamo in una terra particolarmente inquinata, se viviamo in una situazione di malattie pregresse, l’obesità, le malattie respiratorie dovute al modello occidentale nel quale siamo immersi, noi siamo più fragili. E paradossalmente sono più forti gli africani, sono più forti gli indiani che prendono la malattia, quindi il contagio si diffonde, ma muoiono meno degli europei che vivono condizioni di benessere maggiore, ma sono più fragili a questo morbo. Quindi ci sono tutta una serie di indicazioni diverse e divergenti. C’è una lettura complessa, quasi caleidoscopica di questa vicenda, ma un dato è assolutamente chiaro: questa economia uccide, come disse nel 2015 Papa Francesco con la Laudato Sì. Quindi c’è bisogno di un’ecologia integrale e l’ecologia integrale significa mettere insieme i diritti sociali e la giustizia climatica, per cominciare a darsi una chance di sopravvivenza, altrimenti ce lo raccontano gli scienziati dell’IPCC, noi non abbiamo una grande prospettiva di vita davanti.

Davide: Grazie per queste riflessioni. A proposito di diritti, aggiungo un altro pezzetto. Prima parlavi di George Floyd, adesso facevi riferimento alle persone che vivono in Africa e in India. In questo periodo è deflagrato il tema del razzismo. Ti volevo chiedere cosa ne pensi. Sembra che comunque ci sia, da una parte, pensiamo agli Stati Uniti, una rivolta più decisa rispetto al passato. Detto questo, anche se vogliamo parlare di Italia o di Milano, che è la realtà in cui ci troviamo come Naga, in realtà il tema razzismo è un tema molto presente. Volevo conoscere anche su questo la tua opinione.

Nicoletta: La prendo larga, poi vengo a Milano o all’Italia. Uno degli aspetti diciamo paradossalmente positivi di Covid-19 è che sta disvelando l’impianto assolutamente colonialista su cui è costruito anche il multilateralismo, la dinamica di relazione tra gli stati, e l’impianto normativo che a livello internazionale regola la vita della comunità internazionale. Vorrei soltanto citarne uno: tutto il tema delle regole del commercio studiate per produrre sapere, conoscenza (anche conoscenza scientifica), in questo momento particolarmente importante vista la ricerca e la corsa per i vaccini, e i monopoli che sono appannaggio esclusivo delle multinazionali del nord. È una storia lunga in termini di mancato accesso ai farmaci essenziali, soprattutto nei confronti delle popolazioni del sud globale. Quindi c’è una forma intrinsecamente e quasi geneticamente colonialista delle norme che regolano questo mondo, anche quelle che sono state in qualche modo decodificate dalle Nazione Unite o dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Cito, io lo chiamo il virus furbetto, SarsCov2, perché lui è arrivato settantacinque anni dopo l’inizio delle Nazioni Unite e a venticinque anni dall’avvio dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Questo non è a caso e, secondo me, dovremmo lavorarci su queste date, su queste NON coincidenze. Naturalmente Covid-19 ha fatto deflagrare le ingiustizie e la reazione dei singoli stati, soprattutto di quelli che hanno perso completamente il controllo della malattia, si vedano gli Stati Uniti, è stata una reazione autoritaria, una reazione anche fascista, violenta. Questo produce poi l’insofferenza e una reazione benefica che abbiamo visto con Black Lives Matter. L’abbattimento delle statue è un Black Lives Matter che si è globalizzato. Io trovo che questo sia stato un effetto assolutamente portentoso e positivo che non dobbiamo perdere. Quindi George Floyd che non può respirare è un evento reale, ma è anche una straordinaria rappresentazione plastica, fisica, del mondo che non ne può più di andare avanti così. Quindi da una parte questa tensione tra un desiderio di liberazione, di emancipazione, di autodeterminazione, di miliardi di persone nel mondo e, invece, dall’altra parte, l’aspirazione di contenimento, di soffocamento di questo desiderio, di questo respiro di emancipazione dell’umanità, laddove, come vediamo, si stanno restringendo gli spazi per la società civile in generale, nel nord e nel sud del mondo, i difensori dei diritti umani vengono uccisi sempre più numerosi negli ultimi anni. La gente fugge non più soltanto per le guerre. Non serve una guerra per dover fuggire, ma serve semplicemente il fatto di non avere nessuna prospettiva di futuro, neppure, come dice un meraviglioso sociologo indiano, la prospettiva di aspirazione. Si è ridotta perfino la capacità di aspirare, perché la realtà, lo spazio di realtà, lo spazio di costruzione del futuro è completamente ridimensionato. Un mondo così non può andare avanti. Un mondo dove c’è un élite, che è quella dei filantropi attuali, che si collocano anche a trovare le soluzioni del mondo a cui hanno gaudiosamente partecipato ad arricchirsi è un mondo che è pieno di patologie. Questo non lo dico io, lo dice il Credit Swiss ogni anno quando, come banca svizzera, fa il rapporto della ricchezza mondiale e racconta che lo 0,7% ha più del 46% di tutta la ricchezza del mondo. Un mondo così è malato, pertanto, in questa patologia, in questa complessità ci sono aspirazioni a semplificare che sono disarmanti. Una di queste è il populismo, evidentemente, che è un tentativo di trovare una risposta in un spaesamento che è difficile da ricomporre. In una complessità che è difficile da comporre. Poi, la storia si ripete. I capri espiatori, da questo punto di vista, sono le facili prede di tentativi di risposta a questa complessità. Naturalmente i migranti, i poveri, le persone con difficoltà, “l’altro”, esteso in senso molto lato, tra cui ci vorrei mettere anche le donne in larga misura, in molti paesi, sono gli oggetti della mia autodifesa, diventano oggetti del mio tentativo di sopravvivenza. Questo è anche l’esito, a mio modo di vedere, un po’ storico, perché sono i corsi e i ricorsi storici che abbiamo già visto nel passato, i fascismi che emergono che riemergono, che non sono mai stati soffocati, che sono intrinsecamente dentro la storia dell’umanità, ma sono anche appunto il risultato di una diseguaglianza esasperata ed esasperante sulla quale si fa molto parlare, ma molto poco agire. Se è vero, come è vero, che anche le speranze dell’altro giorno, di un discorso retorico, come dire, quasi mobilitante, della Von Der Leyen sulla revisione, la modifica, la riforma del Trattato di Dublino, poi si produce in un risultato assolutamente, non solo insoddisfacente, ma che conferma la realtà, lo status quo. Quindi una politica che agisce così non farà altro che produrre più tensioni, da una parte l’insofferenza dei molti che non ne possono più, dall’altra, l’esasperata difesa dei ricchi, ma anche dei poveri del primo mondo che si ritrovano, come dire, ad attaccare quelli che stanno appena sotto di loro, i penultimi che fanno la guerra agli ultimi. Sono quelli che si muovono in Italia, sono quelli che votano Salvini, sono quelli che pensano di trovare la risposta ai loro problemi, non attraverso la complessità delle cose, ma semplicemente attraverso l’attacco ai capri espiatori. È una situazione molto complicata e anche su questo, Covid-19 viene a darci delle straordinarie lezioni, ma non mi sembra che la politica stia recependo in maniera sufficientemente matura e compiuta i messaggi che ci stanno arrivando. Il problema non sono i migranti, non sono i poveri. Il problema era che avevamo finanziarizzato la salute, che l’avevamo completamente affidata ai privati, che abbiamo deciso, in nome dell’austerity, di eludere le spese sociali. E se una società non fa investimenti sociali muore.

Davide: a proposito di poveri e ultimi. Dall’Osservatorio del Naga, che chiamerei quasi come un Osservatorio privilegiato, per ribaltare un po’ i canoni, in un periodo già molto difficile ci sembra di vedere un ulteriore disgregamento del tessuto sociale che sembra quasi più sfibrato…   Per concludere questa bella intervista, ti chiedo, secondo te, un’associazione di volontariato come la nostra che ruolo può giocare in questa situazione difficile?

Nicoletta: Io credo che realtà come il Naga possano e debbano svolgere un ruolo fondamentale che è quello che state già svolgendo. La cosa straordinaria è che voi in tempo di lock down, in tempo di chiusura, distanziamento fisico non avete mai smesso di operare e io credo che questa di per sé sia già una straordinaria espressione di vitalità democratica, oltre che di vitalità sanitaria e avete dimostrato che, nel vostro piccolo, riuscite a fare ciò che il Governo, che lo Stato italiano non sa fare, cioè giocarsi la partita della prossimità alle persone e giocare una partita della salute che non è medicalizzazione esasperata, ma è vicinanza, attenzione, cura dell’altro, a partire, se vogliamo, dall’aspetto della salute, ma a 360° il riconoscere l’altro come persona portatrice di diritti, come persona titolare di una dignità umana che deve essere riconosciuta, perché nel momento in cui non è riconosciuta quella dignità umanità faccio un gioco che limita e affonda anche la mia personale dignità umana. Questo senso di reciprocità, di coesistenza, di convivenza che deve essere recuperato nella solidarietà. Il Naga ha fatto questo. Lo deve saper raccontare in maniera molto forte. Questa continua corrispondenza di dignità che è dignità della persona che ha bisogno, ma è dignità anche della persona che in quel momento lì è in grado di rispondere a quella richiesta di aiuto. Pertanto questo è già simbolicamente, non solo nella pratica, un’azione poderosa. Poi, il Naga oggi, ancora più di prima, visto che abbiamo scoperto che il problema non sono i migranti. Non si è parlato di immigrazione per un sacco di tempo. Non ce ne siamo più occupati. Il pericolo viene da altrove. Il pericolo non viene da queste persone pertanto c’è da rafforzare questo messaggio, c’è da continuare a portare avanti un messaggio e una pratica di civiltà in un tempo di bassissima marea, ma sapendo che è un cammino lungo, probabilmente è un’attraversata del deserto, ma che alla fine qualcun’altro, se non proprio noi, sicuramente non io per motivi anagrafici, ma noi dobbiamo costruire oggi questa società e dobbiamo farlo, nonostante tutte le difficoltà, dobbiamo costruire oggi la società della dignità umana che vogliamo vedere, per noi, perché comunque farlo ci mantiene giovani, ci mantiene desti, ci mantiene vivi, ma soprattutto per le persone a cui dopo di noi dovremo passare il testimone. Nella storia possono esserci delle svolte, delle torsioni anche inattese, stravaganti, quindi non è detto, siamo in questo tempo sospeso, quasi senza futuro, no? Non possiamo prevedere esattamente cosa succederà, ma talvolta ben oltre le predizioni, i programmi, le pianificazioni di governi, di società, succedono delle cose che possono veramente segnare una discontinuità totale rispetto al tempo in cui noi viviamo. Io me lo auguro che questo virus possa, nella sua imprevedibilità e inconoscibilità, forse anche mutando, come è stato scoperto recentemente è già mutato più volte, possa fare quello che noi non riusciamo a fare. Possa riuscire a darci la “sgrullata” che noi ancora non abbiamo colto. Ne abbiamo avute parecchie, ma forse abbiamo bisogno di più tempo, di più segnali, abbiamo bisogno ancora di lezioni. E questo forse paradossalmente sarà il virus a farlo, lì dove la politica non riesce proprio a esprimersi. Forse anche la politica è senza respiro. Speriamo che sia il virus paradossalmente a ridarcela.

Davide: Ti ringrazio. La volta scorsa parlavamo dei muri che diventano ponti, questa volta mi verrebbe da dire che la prossimità cura le ferite, anche quelle che non si vedono. Ti ringrazio tantissimo per il tempo che ci hai dedicato. Saluto tutti gli spettatori. Ci vediamo presto.

Nicoletta: Forza! Avanti! E in buona salute, in senso generale. Grazie a voi e buon lavoro.

Sostieni il Naga, adesso.

Il tuo sostegno, la nostra indipendenza.